forse non siamo così in bolletta

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Sono da due giorni su un treno, avanti e indietro per la penisola. Mi capita spesso. Ma in queste ultime ore mi pare si sia superato ogni record.
Tutti, ma proprio tutti, al telefono.
Anche quelli che non hanno nessuno da chiamare, fanno finta, per non essere da meno.

Civati fa una caricatura dell’utenza del Frecciarossa, che è stata una vera rivoluzione per me: non trovandomi così a mio agio sospeso in aria, mi ha permesso di cambiare le abitudini di viaggio nei frequenti spostamenti Milano-Roma. L’unico pro che ha l’aereo, rispetto al treno, è che lassù, almeno per ora e finché continua così, i telefoni devono rimanere spenti. Mentre l’alta velocità (ma anche il passante ferroviario che prendo quotidianamente per raggiungere l’ufficio nel centro di Milano) è ad oggi una specie di “meta meeting-room”, dove ognuno si fa bellamente i ca§§i propri con l’interlocutore al telefono. Una conference call per ogni passaggero, per un totale da babele.

Ma non è solo un problema di buone maniere. La cosa sconcertante, al di là dei contenuti che, grazie alle mie nuove cuffie Akg ultraisolanti e con i bassi potenziati, restano a livello di labiale fuori dalla mia vita, è che nell’Italia dei precari e dei disoccupati, l’Italia che non arriva a fine mese, l’Italia delle figure professionali pagate meno che nel resto d’Europa, nove di quei telefoni su dieci sono i-phone da centinaia di euro.

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