riscatti di anzianità

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Vi ci vedete voi, a 65 anni, a smanettare con Dreamweaver (o con quello che si userà allora) e progettare pagine Internet (o quello che ci sarà allora)? Ipotizziamo che il mondo non finisca nel 2012 e che i miei colleghi arrivino alla fatidica età della pensione facendo più o meno le stesse cose che fanno ora. Io scrivo testi pubblicitari, ho già 43 anni, e mi tiro fuori, almeno per scaramanzia visti i tempi che corrono. In gioco restano A. che costruisce pagine per siti web, D. che fa il grafico, I. che si occupa di montaggi video, i primi tre che mi vengono in mente a mo’ di esempio. Tutti mestieri che l’opinione comune associa a giovanotti dal profilo precario, ma che, come tutti, precari e statali, invecchieranno. Prendiamo invece i mestieri più tradizionali. Chi di voi non conosce un commerciante anziano? Un meccanico alle soglie della pensione, con le mani indelebilmente macchiate di nero? Un ingegnere con i capelli bianchi? Un ex-geometra che gioca alle bocce, cura l’orto e porta a spasso i nipotini? Un copywriter di mezza età? Si, quello sono io. Ma è l’eccezione che conferma la regola. Mi spiego meglio (ci provo).

I lavori che iniziano per “e trattino” e tutto ciò che ha a che fare con i new media è per precari highlander, i sempreverdi, gente che non solo non invecchierà mai ma che non oltrepasserà nemmeno le soglie dell’età adulta. Complice anche il turn over che c’è nel settore. I suddetti A. D. ed I. lavorano qui da un paio d’anni, chi più chi meno, e prima o poi se ne andranno, perché nessuno investe davvero in questa tipologia di figure. La rottamazione è più conveniente, si possono risparmiare i costi di una crescita professionale per stage sempre meno retribuiti. Tra poco arriveranno i nuovi A., D. e I. a sostituire gli originali, anche se originali non sono, perché sono qui già al posto di qualcuno. Ma, per fare punto a capo, consideriamoli pedine archetipo di questo perpetuo gioco dell’oca. In ogni casella c’è il logo di un’agenzia e un numero crescente, a rappresentare l’età. Dicevo, altre 3 pedine a progetto, sempre di 30 anni, ripartono da capo e si spostano lungo le caselle, così l’agenzia si può permettere di non invecchiare. Ma i tre archetipi, le tre pedine da cui siamo partiti, dove vanno a finire? Avanti di enne caselle, in un’altra agenzia a re-iniziare da capo come junior, sempre junior. L’ultimo tiro di dadi e si arriva a 65 (è una variante del gioco dell’oca vero e proprio, che invece arriva a 90), la casella della pensione, ancora da junior. Ma vediamo da vicino le ultime 10 caselle, quelle che ci interessano di più: non cambia nulla. A. è alle prese con i css, D. è prono su Illustrator e I. è in giro a portarsi in spalla la miniDV, magari in una conferenza stampa a sgomitare con i cameraman delle tv che si fanno molti meno scrupoli. Tutto questo intorno ai 60 anni, diciamo. Strano, vero?

Questo perché un anziano creativo, un nerd con i capelli bianchi o un videomaker digitale con le rughe esula dal nostro immaginario. Eppure, nel 2060, ci saranno anche loro. Quasi sicuramente con problemi di vista, per aver speso notti e giornate appiccicati ai monitor, in barba alla normativa sulla sicurezza sul lavoro in ufficio. Tutti curvi e scogliotici, per le numerose sedie low-cost che hanno ospitato le loro parti posteriori e per le posture assunte durante i briefing. Semisordi, per via della musica electro-indie a tutto volume che gli ha consentito di isolarsi meglio dal resto del mondo. E analfabeti di ritorno, incapaci di scrivere se non con la tastiera o con il touch screen, di leggere il corsivo, di comprendere un testo privo di abbreviazioni e più lungo di 160 caratteri. Anaffettivi, se non tramite faccine animate.

E io, a 93 anni, sarò ancora lì, a sistemare i testi dei miei clienti, a togliere la doppia elle da “accelerare”, a cancellare apostrofi tra “qual” e “è”, a correggere l’accento chiedendomi il “perché” (la rima non era voluta).

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