a chi lo dici

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L’Uomo Che Parla Da Solo barcolla cambiando piede di appoggio alla fermata del tram, in maglia a righe orizzontali e bermuda sintetiche, la fronte imperlata dal tasso di umidità record. E parla, a volte concitato, a volte sorridente, a volte serio, alternando stati d’animo talmente ordinari da passare inosservato. Già, venti anni fa l’Uomo Che Parla Da Solo sarebbe stato scambiato per un matto; solo uno psicopatico potrebbe colloquiare con un interlocutore immaginario, un coniglio invisibile o, peggio, un fantasma. Oggi, di uomini e donne che parlano da soli sono piene le vie e le piazze, i luoghi pubblici, le stazioni e le aree di servizio in autostrada. La differenza è che si rivolgono a un minuscolo microfono ubicato su un filo che pende dalle loro orecchie, collegato a un telefono cellulare a volte ostentato, se di ultimo modello, a volte occultato chissà dove. E parlano, ridono e si arrabbiano, urlano o compongono baci e parole con la bocca ora fissando un punto qualsiasi, ora passando in rassegna quello che hanno intorno, quasi a voler condividere con la persona che hanno in linea il panorama del posto da cui stanno chiamando, attraverso un paio di avveniristiche webcam installate nei bulbi oculari. Nessuno fa più caso a questa variante del teatro di strada, ma sarebbe davvero utile fermarsi un momento ad assistere ai loro monologhi come si fa con le statue o con i giocolieri, e lasciare loro una moneta per l’emozione che ci hanno fatto vivere. Utile per far rendere loro conto del talento e delle potenzialità degli spettacoli che involontariamente sono in grado di offrire. Nessuno, oggi, così fa più caso all’Uomo Che Parla Da Solo, in bermuda e maglia a righe, che cambiando piede di appoggio barcolla sudaticcio alla fermata del tram, e che si rivolge a un auricolare invisibile collegato a un telefono cellulare immaginario, e parla con un interlocutore inesistente grazie a un contratto tutto compreso ricaricabile sicuramente vantaggioso e senza scatto alla risposta.

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