osservare periodi di riposo (altrui)

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Ad un certo punto, nel bungalow di fronte al nostro, arriva una coppia su una cinquecento color perla. Una cinquecento di quelle nuove, naturalmente. Forse anche con il tettuccio. Sicuramente noleggiata. Sui venticinque anni entrambi, hanno un bagaglio esiguo, dal che si deduce che la loro permanenza sarà breve. I lineamenti non sono italiani, sembrano o tedeschi o svizzeri o comunque una razza superiore alla nostra, intesa come noi che schiamazziamo e gridiamo ai nostri figli per farci obbedire e farli stare seduti a tavola anche per mangiare la frutta, disturbando il resto del campeggio. Mentre mescolo il risotto in busta in modo che non si attacchi alla padella, osservo i nuovi dirimpettai. Il tempo di sistemare le poche cose e già sono seduti in veranda, ciascuno con un Macbook Pro da 17 pollici a testa, una chiavetta per la connessione a Internet e un iPhone. Stappano una Ichnusa e, accompagnandosi con numerose sigarette e versando in bicchieri di plastica tutti i 66 cl di birra divisi in pari quantità, stanno lì immobili e silenziosi, ognuno sul proprio Macbook Pro da 17 pollici. Poi lei prende l’iPhone e, sigaretta in mano, scende dalla veranda. Camminando in tondo parla inglese – con un marcato accento tedesco – con qualcuno. Nel frattempo viene buio, accendono una candela, noi mangiamo il risotto.

A mattina inoltrata hanno ancora la porta chiusa e le tende tirate, sul tavolino fuori c’è un moccolo bianco, un posacenere colmo di mozziconi e un cadavere di Ichnusa. Noi si va al mare, le vacanze seguono il loro ritmo. E la coppia di fronte ne ha uno molto diverso. Verso le sette di sera rientriamo dalla spiaggia consumati dalla salsedine, e i due sono già lì, seduti al tavolo, i Macbook Pro accesi, la birra e le sigarette. Altra telefonata, altra Ichnusa. Non vedo teli da mare appesi allo stendino, entrambi però indossano il costume da bagno, sopra il loro corpo bianco nerd. Faccio un giro diverso tornando dai lavandini dove ho lavato le stoviglie e cerco di sbirciare nei monitor. Chissà di cosa si occupano. Il ragazzo mi coglie in flagrante e sorride, ricambio con un saluto imbarazzato e riporto la mia curiosità nei limiti per i quali ho già saldato l’affitto di una settimana.

Cala la sera, e la coppia siede ancora in veranda, ora con un ospite. Io accendo il mio PC, non ho la chiavetta per Internet, l’ho portato solo per scaricare le foto e far vedere qualche cartone animato a mia figlia, ma faccio finta di dover fare qualcosa di importante. Devo aggiornare il mio blog, devo rispondere a qualche email urgente. Proprio così. Il suono di avvio di Windows XP mi fa un po’ vergognare, devo ricordarmi di mettere a zero il volume, tanto da lontano e con il buio non si capisce che non è un Mac ma si tratta di un Pentium 4 con una scheda PCMCIA per il wireless che non c’è. E che l’attività più duepuntozero che posso fare è una mano a Prato Fiorito. Di fronte, la discussione tra i due e il loro invitato prosegue serena ma è impossibile carpire i particolari, le birre si vuotano una via l’altra, i Macbook rimangono stranamente chiusi, candele e sigarette si consumano in fumo. Capisco però che i due, con il loro ospite, parlano in italiano, e anche piuttosto bene. Crollano tutte le certezze.

Il terzo giorno della loro permanenza suppongo trascorra come i precedenti, a mia insaputa. Perché facciamo una gita nella meravigliosa cala più a nord e si parte all’alba. E anche i giorni successivi sono così. Si svegliano tardi la mattina, non so se e a che ora facciano un bagno o almeno si sdraino al sole, perché la loro pelle continua ad essere candida. A lei, tipica aria da lentiggini, non ne è uscita nemmeno una. In compenso passa ore immersa in conference call, sempre in inglese. Ne deduco che il loro business funziona. Poi avanti ore a scrivere chissà quali cose decisive sui loro Macbook Pro. Magari hanno un sito di e-commerce, o sono i community manager di qualche importante multinazionale e non hanno nemmeno un giorno di vacanza, tanto che sono lì, a pochi metri da una delle spiagge più belle della Sardegna, ma devono rimanere costantemente on line, e con i ritmi che hanno dubito ne colgano l’essenza.

Vedete, però, con un dirimpettaio impiccione come me, dovreste almeno dare qualche indizio in più sulla vostra attività, pronunciare forte e chiaro il nome dell’importante corporate vi tiene ore e ore così impegnati, sarà sicuramente un lavoro di grande responsabilità e di elevata visibilità, magari abbiamo anche qualche contatto in comune, e visto che vi siete accorti che sono sempre lì a origliare le vostre conference call potreste attraversare lo spazio che ci separa e raccontarmi tutto. Non lasciatemi qui a fare finta di aggiornare un blog e a consumarmi di curiosità. Già, uno scenario impossibile. Tutto procede così, continuando inesorabilmente con sessioni di telelavoro e conference call, fino a quando una mattina, l’unica in cui ci svegliamo un po’ più tardi, la cinquecento non c’è più.

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