una parte di noi

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Cerco di raccontarvela come me l’hanno raccontata loro, io non c’ero e quindi spero di non inventarmi particolari, magari presa dall’entusiasmo, e di mantenermi fedele ai fatti. So che si sono dati appuntamento verso le sei, all’uscita della Coop. Non l’Ipercoop, che è gigantesca e ha più uscite e poi è fuori dal paese e ci si più solo arrivare in auto, o in bici ma se fa caldo, non certo a febbraio. La Coop quella piccola, il supermercato di una volta, dove si va a far la spesa giorno per giorno. Beh, per farla breve, si sono incontrati lì fuori.

Lui tornava dal lavoro, era un venerdì – notte di silenzi e di luna piena, eh, scusate, papà mi ha contagiato con la mania delle citazioni dalla musica pop – dicevo era venerdì, e era riuscito incredibilmente a chiudere tutte le urgenze a cui stava lavorando, che poi non ho ancora capito che cosa voglia dire lavorare alle urgenze, ma il lavoro non si può pianificare? Il giorno X era ormai passato da un pezzo, quasi due settimane, e quindi poteva succedere da un momento all’altro. E quel venerdì era un venerdì particolare: sarebbe cambiata la luna, quella sera, quindi tutto faceva pensare che finalmente fosse il momento buono. Un’intervista dopo pranzo e poi subito via verso casa, tra i sorrisi e gli abbracci delle amiche colleghe.

Lei invece, a casa da un paio di mesi, era alla Coop giusto per il pane e il latte, e soprattutto per fare quattro passi, tutti le dicevano che fa bene camminare e fare movimento, nella sua condizione. Da lì sono rientrati insieme, un check se tutto era pronto, la valigia con il necessaire per stare qualche giorno via e qualcosina già per me. Poi le operazioni di routine: mangiano qualcosa, seguono il tg3, le telefonate del caso, si tutto ok, stiamo bene, appena ci sono novità vi informiamo, non preoccupatevi. Credo che per precauzione abbiano persino lasciato l’auto fuori dal garage, lui è il più ansioso. Ha stampato persino il percorso più veloce, a seconda dell’ora di percorrenza ci potrebbe essere traffico in un senso o nell’altro, meglio avere strade alternative. Dopo cena sono scesi gli amici dal quinto piano per un momento di relax e una partitella a burraco. Verso le 23 gli amici tornano a casa, sì se abbiamo bisogno vi chiamiamo. A quel punto, ecco che succede. Il tempo di chiudere la porta con tutte e quattro le mandate, lei entra in bagno per prepararsi ad andare a letto. E proprio in quel momento avverte qualcosa. Panico. Anzi, niente panico. Entrambi seguono la procedura di emergenza che hanno programmato da mesi, un’ultima occhiata alla casa che non sarà mai più come prima, lui si carica lo zaino e la valigia sulle spalle e via, si parte.

Ma, e almeno questo è quanto sostengono loro, non è stato semplice. Avevano pianificato di farlo in acqua, ma per essere meno vincolati avevano prenotato addirittura una camera adibita a questo tipo di cose, nella quale potesse rimanere anche lui e partecipare attivamente a tutte le fasi. Avevano seguito anche un training, lui poi in segreto mi ha confessato che era rimasto piuttosto impressionato da un video che avevano proiettato, ma avrebbe comunque resistito fino in fondo. Ma lì qualcosa non ha seguito il corso giusto. Addirittura dopo ventiquattr’ore non era successo niente, lei a intervalli regolari si alzava e camminava sorretta da lui, poi si appoggiava e soffriva, come soffrono tutte le donne ma chissà che tipo di dolore è, mi hanno detto che ci sono probabilità che un giorno lo dovrò sopportare anche io.

Passa un giorno intero e la cosa inizia a preoccupare entrambi, lì alla struttura a cui si sono rivolti tengono comunque tutto sotto controllo. E anche se la filosofia è quella di seguire la natura, se la cosa ritarda ancora un po’ hanno deciso di intervenire. E così fanno, a distanza di trentasei ore, praticamente. Loro due si salutano, si abbracciano, perché nel modo in cui andranno le cose lui non potrà esserci. Solo personale dedicato e, ovviamente, lei. La protagonista vera. Insomma, io non mi ricordo nulla. Ma mi hanno detto che mi hanno tirato fuori e avevo una specie di tubo arrotolato intorno, e che se non fossero intervenuti con le maniere forti poteva anche essere pericoloso. Ma dicono che, per me, questo sistema alternativo è stato meno traumatico della procedura standard.

Insomma quindi ho messo la faccia fuori da lì e ho iniziato a strillare, poi lei mi ha stretto in braccio e piangeva, mamma si commuove sempre per qualsiasi cosa, alla fine dei libri, sui titoli di coda dei film e anche per la pubblicità della Barilla. Dopo i controlli, mi hanno infilato in una scatola trasparente e portata con una specie di carriola su, nel reparto dove mi aspettava il mio papà. Anche lui, appena mi ha visto, ha pianto un po’, gli hanno messo un camice verde che gli stava malissimo con le scarpe che aveva su, ma mi ha assicurato che non c’erano altri modelli. Quindi cuffia, mascherina e guanti e poi è venuto vicino a me. C’era un buco, in quella scatola, lui ha infilato la mano dentro, gli ho afferrato un dito, e con quel poco che potevo vedere credo di aver letto il labiale di quello che ha detto, una cosa tipo “ti sarò sempre vicino”. Già. Tra poco portano su anche la mamma, dài che si comincia.

0 pensieri su “una parte di noi

  1. tinapica

    l’enormità di dolore e gioia uniti come da una cerniera. Quegli occhioni nuovi che ti guardano, il mondo che si ferma per un istante.

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