congiuntivite

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In una sala riunioni che definire asettica è fargli un complimento, perché vabbè che hai una società che si potrebbe chiamare Mortedeisensi spa, che operi in un settore triste, che hai dipendenti ammorbanti, che ti rivolgi a clienti grigi, che occupi una sede ubicata in un non-luogo con vista su furgone carbonizzato e il bar più vicino è a 600 metri e per di più gestito da cinesi. Ma almeno l’arredo sceglilo un po’ vivo, anziché mobili che in confronto gli uffici della pubblica amministrazione negli anni ’80 erano di design, per non parlare degli scaffali nudi con riviste verticali che leggete in quattro, targhe che attestano le partnership che sfigurerebbero persino a una riffa di regali natalizi indesiderati. Ecco, in questa splendida cornice un direttore marketing logorroico sta argomentando un monologo sullo stato dell’azienda da cui è stipendiato, in un italiano anglo-markettese con tutti i topoi della sua materia di studio. Il linguaggio è forbito, l’uditorio è estasiato, la curva di attenzione è al suo apice. E proprio in quel momento il direttore marketing canna in pieno un congiuntivo. Uno di quelli che quando la prof di italiano li sentiva dai bidelli imprecava dicendo che per lavorare in una scuola almeno il minimo sindacale della lingua italiana occorreva conoscerlo. “Dasse”. Una creatura deforme che esce dalla bocca posta poco sopra della cravattona a righe diagonali e rimane lì, ferma con un effetto 3D tra il direttore marketing e gli astanti, scolpita in uno di quei font che i neofiti della videoscrittura usano compiaciuti per vedere prendere corpo le proprie parole testé digitate sulla tastiera. Un impact, per esempio, bold e colorato con l’effetto sfumatura da un colore all’altro, come i cartelli “domenica aperti” che stampati autarchicamente trionfano appiccicati con nastro adesivo trasparente sulle vetrine dei negozi, ormai nessuno si pone più il problema del soggetto, ma scrivere “il negozio è aperto” va oggettivamente contro i criteri della comunicazione superveloce della moderna era digitale. Qui invece si è materializzato un “Dasse”. Tutto il resto dell’analisi sul bilancio e sulle previsioni di espansione, peraltro fuori luogo in quella sede, con quell’uditorio, per quel tipo di lavorazione, improvvisamente si riduce a un volume infinitesimale, come dopo il boato di un’esplosione l’udito resta sordo per un tempo variabile, a seconda dell’intensità e della sensibilità del timpano. La bocca continua a muoversi malgrado il mute, il pomo d’adamo va su e giù, ma invano perché il volume è a zero. Resta solo un ologramma, un rendering lì, in alto, sul tavolo della sala riunioni. “Dasse”. Il futuro non sarà mai più come prima.

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