digli di smettere

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Fa sorridere rivedere interviste o talk show di qualche anno fa in tv, durante le quali l’intervistatore e l’intervistato si scambiano domande e risposte con la sigaretta accesa in mano. Ormai l’entrare in luoghi pubblici e non sentire puzza di fumo è la normalità, ma l’ostracismo verso i tabagisti dai vagoni ferroviari, club, sale d’aspetto e uffici è storia recente. E quello che sembra un comportamento normale, il risparmiarsi il cambio forzato quotidiano di abiti a causa della convivenza o la semplice vicinanza di fumatori accaniti, un tempo era tutt’altro che scontato. Sembra incredibile aver passato secoli in cui si è permesso a chi non aveva il vizio, se non a coloro per i quali era pure dannoso, di subire le esalazioni di una combustione. E non solo rientrando a notte fonda dopo un concerto, durante il quale il tabacco talvolta mescolato ad altro saturavano l’ambiente chiuso e gli aromi dell’uno e dell’altro vegetale bruciato impregnavano capelli e magliette sudate. Una semplice andata e ritorno in treno poteva essere decisiva.

Per non parlare dell’ufficio. Solo dieci anni fa condividevo l’ambiente di lavoro con gente che mi appestava con un paio di pacchetti di Marlboro al giorno a testa. Il mio dirimpettaio rollava invece di continuo, ma quella era la cosa meno fastidiosa, perché, traboccante di personalità da ogni poro e umile quanto un opinion leader del centrodestra, mi spaccava la minchia con la sua techno autoprodotta in loop a un volume fintamente moderato. Una specie di folletto con i capelli strinati e l’accento del sud, al mio fianco, riempiva invece il posacenere di mozziconi macchiati dalle abbondanti dosi di rossetto porpora con cui tentava di caratterizzare al meglio la sua bruttezza interiore (ed esteriore).

E le auto? Tentare di migliorare l’esperienza di viaggio dei passeggeri con gli arbre magique, l’invenzione del secolo (scorso) il cui olezzo – il flavour classico alla vaniglia, tanto per dirne una – ti si impregnava peggio delle nazionali senza filtro.

Sono stato fumatore, da molto sono un ex, ogni tanto scrocco un pizzico di Old Holborn quando incontro qualcuno che ha una busta e le cartine con sé, questo solo per dire che cerco di essere comprensivo con chi non si libera dal vizio. Ma oggi come allora, ho l’impressione che se c’è un filo di fumo appeso a un mozzicone pronto a librarsi verso l’alto, ecco che prende la direzione delle mie narici attirato da chissà cosa, un po’ come il senso per gli uccelli dei protagonisti del film di Hitchcock. Sarà vittimismo, o il condizionamento della cultura imperante verso chi si arroga il diritto di smog difendendosi con un “il polmone è mio e me lo gestisco io”, senza pensare che la prevenzione è la miglior cura soprattutto contro la spesa sanitaria pubblica. Ma sono sempre io a dover fare qualche passo più in là per evitare di offrire incresciosi spettacoli – conati di vomito compreso – alle 8 del mattino sul binario. Potrei però portare con me una borsa di compost e sedermi in braccio al fumatore, una volta a bordo del treno, giusto per ricambiare il favore.

0 pensieri su “digli di smettere

  1. Da noi basta denunciare ai dirigenti o ai direttori i colleghi che non rispettano il divieto di fumo.

    Naturalmente fumano sia il mio dirigente che il nostro direttore.

    Naturalmente io ho la stanza attigua al primo, per cui fumo per osmosi.

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