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Gli aneddotti sugli stranieri in vacanza versus italiani in vacanza sono un tormentone estivo vecchio quanto l’unione europea, la libera circolazione dei cittadini comunitari o, almeno, la moneta unica. Ogni nucleo familiare ha i suoi, e sono certo ci siano quelli meno esterofili, che si concentrano sui sandali con i calzini, sulla pasta usata come contorno o sulle carnagioni che passano dal bianco latte al rosso prosciutto crudo senza tonalità intermedie. Ci sono quelli che invece sono più esasperati dai propri simili, un motivo per tutti è aver permesso, tramite il diritto di voto concesso indifferentemente, governi come gli ultimi eletti dal 94 a oggi, e si sentono, anche solo un po’, inferiori nei confronti di nazioni a caso che hanno integrato interi Paesi poveri da cui erano stati separati dopo la Seconda Guerra Mondiale e di averli assorbiti nel giro di poco tempo.

Per esempio, all’imbarco dei traghetti per la Corsica. Tu sei lì con la tua ovomobile stipata di trolley, giochi da mare in plastica, snack farciti di conservanti e coloranti, ma fiero delle tue Geox. Al massimo in tre, i genitori già over quaranta con un figlio/a sotto i 10 – spesso abbondantemente -, ti posizioni in una colonna di auto e scendi e, come prima cosa, ti stiri la schiena perché già tre ore di viaggio su quel cassone iniziano a farsi sentire. Ed ecco che arrivano loro, sul Transporter o sul Caravelle di colori sgargianti, almeno in cinque, genitori trentacinquenni con almeno un figlio/a di 12 anni seduto a fianco del padre alla guida. E sì, magari vestono in canottiera e sandali da scogli, però quando aprono il portellone del furgone dietro vedi il resto della famiglia. Madre, figlio/a di mezzo sugli 8 anni e terzogenito, intorno ai 4. Il furgone è ordinatissimo e dietro sembra un salotto, i sedili sono uno di fronte l’altro, in mezzo un ripiano con un gioco da tavolo, canoe sopra e bici legate dietro.

Sulla nave sembra che pochi di loro abbiano preso anche la cabina, allestiscono mini-campi sul ponte o nei corridoi completi di tutto, a differenza di noi che una notte senza un materasso può pregiudicarci il resto della vacanza. E non credo lo facciano per problemi economici.

In campeggio sono i primi a svegliarsi. Mentre stai convincendo tua figlia ad alzarsi, loro tornano dal minimarket con il pane fresco e il latte. I nonni rientrano dal quotidiano giro in bicicletta, bici da corsa con tanto di caschetto, il tempo di fare una doccia e sono già seduti a imburrare fette di pane da ricoprire con miele e marmellate, mentre noi si è ancora lì con caffelatte e biscotti. Prima di andarsene sulla spiaggia, i loro figli hanno la consegna di lavare piatti e stoviglie, a qualsiasi età, e si mettono in fila verso i bagni. Attività che invece, da questa parte, svolgo soventemente io, mia figlia è troppo occupata a leggere e non si può disturbare.

Arriva poi l’immancabile famiglia Bradford. Il furgone è più grande, e quando scendono capisci il perché: genitori e sei o sette figli, tra i 2 e i 14 anni, e quando fai amicizia con loro, il cui inglese, pur non essendo la loro lingua, è costantemente mille volte meglio del tuo, chiacchieri con la madre e ti rendi conto di cosa significhi avere un welfare e rispettarlo pagando le tasse. Nel frattempo il campeggio sembra già una colonia per bambini, la maggior parte non italiani. La sera si riuniscono tutti insieme, sono la metà di mille, e organizzano in quattro e quattr’otto – pur parlando lingue diverse – giochi nella natura. Un sera li vedi con le torce in un ibrido tra una caccia al tesoro e nascondino, in mezzo alla macchia all’interno del campeggio. La sera dopo sono ancora tutti insieme sulla spiaggia: i più grandi, ancora preadolescenti, stanno costruendo una capanna indiana con le canne che hanno trovato vicino agli scogli. C’è anche un telo abbandonato che viene subito riciclato come tenda. Qualcuno chiama il papà che accende un fuoco, e i bambini si mettono lì intorno a raccontarsi a gesti e a versi chissà quale storia di fantasmi. Ci sono solo un paio di ragazzini che non stanno giocando con loro, si sono fermati nella sala giochi insieme al padre, c’è una partita di calcio in tv, il padre per seguire in santa pace l’incontro gli rifila continuamente monete per i videogame. E sono gli unici. Indovinate un po’.

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