fa novanta

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La prima volta è stato con un film comico in bianco e nero, quelli con Stanlio e Ollio, o Cric e Croc secondo il lessico famigliare. Uno dei due faceva il bagno nella vasca, l’altro ha tolto il tappo ed è stato inghiottito dal buco dello scarico, insieme all’acqua. Una specie di evoluzione del noto proverbio dei bambini e l’acqua sporca, ma qui c’è il paradosso delle dimensioni e guai a mostrare un paradosso a un bambino. Paure da grande e piccolo schermo, come quella nata a seguito della visione de Lo squalo. C’erano svariate possibilità che un esemplare gigantesco, catturato nel mediterraneo e trasportato tramite TIR per le strade della città, proprio sotto casa avesse uno scatto di sopravvivenza, gli stessi che hanno i pesci nei secchi senz’acqua, e saltasse fino al quinto piano sfondando le finestre e atterrando sul letto fino a mangiare il bambino che al buio non riusciva a chiudere occhio. O ancora il liquido nero con cui gli extraterrestri riempivano i caschi dei militari della Shado, un’agonia che poi è tornata in auge con il video di No surprises, per fortuna era almeno trasparente e non caffé e dava l’idea di essere più friendly. Mai mettere la testa in un casco. Ma la peggiore di tutte era l’annunciatrice RAI che ti si rivolgeva direttamente, roba degna di Cronenberg e del suo Videodrome, passando da un generico voi punto-multipunto a un diretto tu punto-punto. In confronto la foto di Mario Tuti al telegiornale era tutto relax. Già, anche le ansie generate dal momento storico politico. Per esempio la paura che qualcuno entrasse in casa e ti rapisse, o una bomba nel portone, o un semplice incendio dovuto a uno scontro tra manifestanti e polizia sotto casa.

Nel tempo le paure poi diventano più specifiche e contestualizzate all’individuo. La paura dello scontro fisico, quella del rifiuto dei pari e del non piacere a chi ti piace. Farsi del male. Ma gli strumenti a disposizione sono maggiori, l’equilibrio diventa più strutturato. Tanto da permetterti di attraversare la fase del senso di invincibilità fin troppo da spavaldo, e atterrare poi alla maturità e alla razionalità indenne e sufficientemente intelligente da tornare alle paure da irrazionale. Il terremoto, il viaggio in aereo, i luoghi alti e aperti e gli aerei che ti si vengono a schiantare contro, gli oggetti che cadono dalla nave in mare, o cose più serie come le malattie e la morte, propria e altrui. Per non parlare delle paure nate con la genitorialità, lì persiste un intero campionario destinato purtroppo ad aumentare con la crescita dei figli. Inutile ricordare come si definisce il rapporto tra i problemi e la loro età. Oppure la paura di parlare delle proprie paure in prima persona in un post. Ma, tra tutte, la paura più grande è ancora una. Dire di no, vedere lo sgomento altrui di fronte al rifiuto di qualcosa, soffocare l’entusiasmo di una proposta, non accontentare un desiderio, usando se stessi come transfert della delusione altrui. No. Due fucking lettere appaiate, spesso accompagnate a un movimento oscillatorio del capo che, malgrado i progressi della tecnologia, risultano essere ancora una delle armi anti-uomo più comuni. No. E non esistono poligoni di pratica della negazione per esercitarsi, affinare la mira, colpire, ferire. L’esperienza si fa solo sul campo.

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