vecc

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Una volta me l’ero presa con il marito. Era poco che abitavo qui, mia figlia aveva qualche mese. E lui ricordo si mise a tagliare il prato del giardino con il tosaerba un sabato pomeriggio, poco dopo pranzo. Mia figlia stava dormendo nella culla, in una stanza proprio di fronte alla loro villetta a schiera. Diamine, gli dissi, lei che è pensionato perché non approfitta dei giorni feriali, quando siamo tutti al lavoro, per dedicarsi alla manutenzione della casa? Potrebbe fare tutto il baccano che vuole che so, di martedì pomeriggio, no? Finì così, qualche parolone, chiamo i vigili e vediamo a chi danno ragione, ma nulla di più.

In estate, come tutti, tengono la finestra aperta, ma con la tv sempre ad alto volume all’ora di cena, quei programmi che più ne indovini più alimenti la speranza di toccare il milione, la faccia onnipresente del gerriscotti di turno che si vede anche da qui sul loro schermo a non so quanti pollici. E poi quel vizio di parlarsi, lei alla finestra mentre mette su il soffritto alle nove del mattino, lui sotto che ha sempre qualcosa da fare con il garage aperto. Fa, briga, svita, pittura, ramazza, smonta, rimonta, cerca, trova. E lei che lo chiama ma lui ha la faccia dentro la cassetta degli attrezzi e non può rispondere, magari è anche un po’ duro d’orecchi. Allora grida il suo nome più forte, e lui risponde urlando, e così per ogni nonnulla. Per non parlare delle conversazioni al telefono. Lo faceva anche mia nonna: più l’interlocutore chiamava da lontano, più forte parlava per coprire meglio la distanza.

Poi però qualche mattina fa ho visto lei prestissimo, era ancora buio, infagottata nel primo freddo autunnale, in piedi davanti alla porta di casa. In mano una borsa di tela che traboccava di buste color esame medico. Radiografie, esami del sangue, quella roba lì. Lui, nel garage, stava accendendo l’auto. Non so che dei due stesse accompagnando l’altro all’ospedale, magari un semplice controllo. Ma la mattina non è fatta per le malattie, per il doversi curare, per la preoccupazione di rimanere da soli e di trascorrere gli anni successivi senza il coniuge da sgridare perché si attarda a trovare la vite giusta e si raffredda la minestra. La mattina è il risveglio, tutto funziona per forza, come da sempre. Da sempre sorge il sole, qui sopra da qualche parte. C’è tutto il giorno per trovare un’ora libera per sentirsi male quando si è in pensione, o per sentirsi tristi, con tutto il tempo che si ha a disposizione, magari nei giorni feriali quando gli altri sono al lavoro. Lasciare la propria villetta a schiera tenuta così con cura, con il prato perfettamente raso, prima dell’alba quando è ancora buio è una delle cose più deprimenti a cui riesco a pensare.

3 pensieri su “vecc

  1. I miei dirimpettai hanno due sport preferiti. Per lei si tratta del “spazzo via tutte le foglie” (e il nostro è un viale pieno di alberi). Per lui è “lavo la pavimentazione del mio garage tutti i sabati mattina”.
    Ieri mattina, per sbaglio (lo giuro) ho scompigliato il mucchietto di foglie che lei stava mettendo assieme.
    Tempo per la mia incolumità.

  2. Non rischi una vendetta? Una escalation di quelle da cartone animato, con i vicini che si armano sempre più fino a quando diventano i soli esseri viventi al mondo e si abbracciano per il comune destino?

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