doppia matrimoniale

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Era la mattina in cui ci siamo svegliati ed eravamo in guerra, dall’albergo dove avevamo passato la notte si sentivano chiari e forti gli spari e le esplosioni, anche se lontane. Mi hai detto che sarebbe stato meglio raccogliere le nostre cose e andare via da lì, da quel piano alto e dalla periferia, probabilmente se c’è la guerra passerà proprio da qui per spostarsi nel centro della città. Era la seconda volta che dormivamo insieme, ci conoscevamo da nemmeno un mese e tu dovevi rientrare in Italia la sera stessa. I tuoi colleghi erano nell’altro hotel, quello per i turisti in centro, ti chiedevi se era meglio tornare laggiù, altrimenti si sarebbero preoccupati e temevi anche per la loro incolumità se si fossero mossi per cercarti. Che ne sarà di noi, ci siamo detti. Che ne sarà di me, ho pensato. Ti ho detto di no, non era il caso, a piedi sarei riuscita a rincasare senza pericoli. Nessuno sapeva che guerra fosse, chi combatteva, a malapena conoscevamo i nostri nemici, la guerra quando è civile è nelle strade, è la guerra della gente e non degli eserciti. Ma poi a uscire da lì nessuno dei due ha avuto il coraggio. In reception c’eravamo solo noi e il padrone dell’albergo, nessuno sapeva che fare, fuori c’era il deserto attraversato da mezzi blindati della polizia. Così hai deciso di chiamare l’altro hotel per sapere come era la situazione. Stavano caricando le borse sul pulmann per partire subito, scortàti. Hai detto a loro di passare di lì, che nessuno avrebbe potuto immaginare il rapido decorso degli eventi. E hai pensato a me, ma io non pensavo a nulla. Anzi, pensavo a tutto ma non c’era scelta. Sarebbe stato difficile salire sul pullman e restare insieme, sarebbe stato difficile lasciarci lì senza sapere se ci saremmo più rivisti.

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