glielo incarto

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Non c’è nulla di male se sei subentrata ai tuoi genitori nella gestione del bar che da giovane tanto denigravi, anzi è encomiabile tutto questo. E fai tenerezza ora che su di te i solchi degli anni sono così profondi, ti chini con meno elasticità di un tempo a raccogliere un cestino di Natale che un cliente turista, uno di quelli che sbarcano da quelle ingombranti navi da crociera che occupano il 95% del porto – che viste dall’alto sembrano una spedizione di amici di Gulliver nella terra dei Lillipuziani – e che con cartina alla mano visitano il metro quadro di cittadina in cui non si perderebbe nemmeno un bambino (cit.), ti ha appena richiesto. La beltà è sfiorita come le ambizioni, la laurea e il master all’estero si sono dimostrati un investimento irrealizzato se non nell’esercizio in cui la tua famiglia ha concentrato tutte le risorse. E tu, figlia unica, non ne volevi sapere, anzi, non ti passava nemmeno per la mente l’idea di dare una mano a mamma e papà, così zelanti e laboriosi nel continuare una tradizione di specialità locali con cui stipavano gli scaffali del bar e il magazzino nel retro. E a chi osava chiederti, conoscendoti poco, “ah, lavori al Bar Tizio?”, tu rispondevi colma di stizza “no, è mio”, a sottilineare il limite delle professioni umili da cui la tua brillante carriera di studi ti avrebbe allontanato di centinaia di chilometri. Anzi, così tanto che, probabilmente a causa della sfericità del globo terrestre, sei tornata proprio lì, tra un bizzarro presidio slow food (che altrove è bersaglio di doppi sensi) e i dolciumi sfusi con cui doviziosamente riempi confezioni regalo. Ti osservo dalla vetrina senza farmene accorgere, poi mi chiedo chissà se le persone che mi incontrano riconoscono allo stesso modo su di me il trascorrere degli anni. Che presunzione. Mi intravedo nella vetrina a specchio successiva, ed è meglio interrompere così questo post.

5 pensieri su “glielo incarto

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