il giusto peso

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Mentre siamo lì chini sulle prime azioni quotidiane che ripetiamo indomiti ogni mattina e smaltiamo gli ultimi strati di sonno dopoché la sveglia ci ha strappato di dosso quelli più superficiali. Attraverso lo sforzo di aprire la caffettiera, le dita sono più gonfie delle stesse che l’hanno chiusa la sera prima, o con la scatoletta di cibo per gatti che funziona come i sali per far riprendere le persone svenute, facciamo una specie di log-in alla nostra esistenza che, di rimando, ci riporta in primo piano le applicazioni che avevamo lasciato in background prima di addormentarci. Così salutiamo le nostre care preoccupazioni tutte lì in evidenza come la modalità preview di un qualsiasi esplora risorse. Io le chiamo proprio così, preoccupazioni, appunto, a causa di una forma mentis in dotazione nel mio DNA, e invidio chi riesce a definirle attività della giornata, o cose da fare. Ora la sfida, come sappiamo, è trovare sempre chi è messo peggio per consolarci e poi pensare che cosa sarà mai un dissidio famigliare rispetto a un parente ammalato, o un po’ di ipertensione paragonata a gravi disturbi, il lavoro che va così così rispetto a chi il lavoro proprio non ce l’ha. Ogni tanto poi ti alzi da letto, fai tutte quelle cose che ho scritto su fino a quando ti fermi perché incredibilmente non c’è nulla per cui stare in ansia. Provi a pensare a tutti i settori della tua vita e, nella cartella preoccupazioni, non c’è nulla salvato. In quei momenti ci si accorge che l’ansia è una sorta di droga del duemila, la sostanza che ci fa rimanere all’erta e pronti all’azione. Altrimenti il rischio è sedersi, aprire un libro, immergersi in una qualunque storia altrui e provare con un surrogato di angosce di fantasia. O, alla peggio, scriverne in qualche modo, da qualche parte.

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