dove va l’accento

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È una cosa che capita di sovente: ci sono locali appositi talmente grandi che nella stessa serata convivono più feste, ognuna a detrimento dell’altra perché è un’illusione quella che basta la musica, l’alcool e la compagnia a fare il divertimento. Piuttosto è come se ogni micro-festa sottraesse energie positive e good vibes a quella del vicino fino a portarsi tutte reciprocamente verso l’annullamento.

Più che altro è l’eterogeneità dei festeggiamenti che va a discapito dell’atmosfera generale. C’è un compleanno in una nicchia, sembra una cappella laterale di una chiesa in cui si svolge una funzione a parte, la festeggiata è una ragazza che aveva promesso a sé stessa che avrebbe organizzato un party con tutti i crismi se fosse arrivata zitella, pardon, single a quarant’anni. C’è una festa di una piccola azienda nel privé di fronte, probabilmente il momento fun di un kick-off trascorso chissà dove, il culmine della giornata dedicata al team building dove alla fine tutti saranno sbronzi, si allenteranno le corde dell’inibizione e si diranno in faccia a vicenda le cose come stanno, rendendo vano l”investimento in coesione aziendale del management. Da notare che il privé non differisce per nulla dal resto del posto, semplicemente è una scatola aperta da un lato in cui la musica è la stessa, con in più qualche divanetto per appartarsi che rende l’ambiente spropositatamente intimo.

Ma la maggior parte della superficie di questo tempio della spensieratezza è riservato ai dipendenti di una gigantesca società di consulenza, li riconosci perché indossano tutti il badge a tracolla e il logo ivi riportato è lo stesso su un cartello indicatore all’ingresso del locale, loro hanno fatto le cose in grande e hanno pure co-brandizzato la location. Se lo possono permettere. Non solo. Sono vestiti da ufficio malgrado a quell’ora dovrebbero liberarsi dei loro completi e sono per la stragrande maggioranza di sesso maschile. Le ragazze sono pochissime, quattro o cinque su un centinaio di invitati. La cosa mi fa venire in mente il ballo delle debuttanti, quelle occasioni in cui si invitano gli allievi ufficiali dell’Accademia e le neo-diciottenni e si cerca di farli accoppiare a vicenda, questo perché si vedono i consulenti in libertà tracimare dalla loro riserva e adocchiare la fauna femminile degli altri branchi come animali da preda oramai stretti nel loro territorio dalle risorse in esaurimento.

Ma questo tentativo di promiscuità non migliora l’andamento generale della serata, si vede che gli altri due blocchi vorrebbero una maggiore intimità e nei rispettivi ranghi tramano cattiverie gratuite contro gli organizzatori grazie ai quali sono lì, che in un mix tra tirchieria e cattivo gusto hanno lesinato in sforzi e originalità per fare qualcosa di più. Così lo stile business della società di consulenza in libera uscita viene ignorato se non dileggiato dagli altri team, da una parte si beve e si canta tanti auguri a te, dall’altra iniziano gli sfottò reciproci, nel mezzo si continua ad accennare passi a ritmo con la dance commerciale, osservare quelli che sembrano divertirsi di più o per lo meno in autonomia e a consumare cocktail colorati e salatini, solo tra maschi, pronti per il contrappello e a chiudere i sogni di trasgressione in un armadietto, annullati in un chiacchiericcio su clienti e fornitori e ignari della dose di bromuro del giorno dopo.

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