troppa grazia

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Il senso di auto-umiliazione che spinge all’eccesso di indulgenza verso i propri detrattori non ha nulla di cristiano, due guance sono già troppe e quando non c’è più alcuna parte del proprio corpo da porgere purtroppo ci sono ancora tanti modi per essere accoglienti verso chi ha già sfondato le porte e si è abusivamente insediato tra i sentimenti di chi soffre di questa patologia e, dopo il saccheggio, vi bivacca pure. L’amor proprio è sacro quanto il rispetto per il prossimo. Persone meno che deboli, non saprei come altro definirle, non esiste un termine scientifico per questo stato psicologico per il quale non si finisce mai di annientarsi contagiando tutti quegli altri che invece si adoperano per il loro bene ma che vengono respinti giù senza distinzione. Meglio starne alla larga, non c’è possibilità di convincerli a desistere dal suicidare la propria dignità a meno di non farsi abbracciare nell’istante letale in cui si appiccano il fuoco. L’equivalente di pagare un articolo in un negozio o acquistare un servizio in cambio di denaro, che già in condizioni normali è soventemente a svantaggio di chi riveste il ruolo di cliente, è un’operazione che non comporta un un sacrificio del fornitore o del commerciante che si priva di una importante parte di sé. Si tratta di una transazione di beni, un passaggio di risorse bilaterale per il quale nessuno rinuncia a qualcosa. La mancia è superflua, anche se dall’altra parte dicono che c’è stata abnegazione. Nessun grado di relazione – stretta parentela inclusa – dovrebbe giustificare chi infierisce su di sé a favore di terzi se i terzi sono i complici di chi opera la negazione della propria persona, oltre ad esserne gli aguzzini, perché si tratta di una lotta impari, almeno due contro un uomo morto, o un nessuno.

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