stupefatti

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I drogati, con l’accento sulla a, sono stati autentici protagonisti della nostra generazione. Il termine, che poi è stato sostituito da un più politicamente corretto tossicodipendenti tanto che poi ci si aspettava un decisivo “diversamente lucidi”, ricorreva in tutte le raccomandazioni dei nostri genitori. Fa’ attenzione ai drogati. Non andare lì, c’è pieno di drogati. Perché uscivi e li vedevi deambulare in centro mescolati alle persone normali come ombre invisibili ai più ma capaci di fare danni e non solo a loro stessi. Come morti viventi appena usciti dalle loro tombe erano in grado di trasmettere la loro condanna solo con uno sguardo, parlandoti, toccandoti. Questo in tempi non sospetti, almeno dieci anni prima dell’AIDS. La condanna della vita ai margini, sprofondati in un buco nero, anzi in un buco e basta.

E l’odore dei drogati, l’odore della pelle, era inconfondibile. Persino il colore. Li vedevi durante i momenti dedicati alla raccolta dei fondi necessari all’acquisto dei generi, la sostanza della felicità. Era tutto un chiedere cento lire, poi cinquecento, poi mille e poi con l’euro erano già quasi morti quasi tutti, almeno quelli sfuggiti alle comunità di recupero. Quelli più incattiviti dall’astinenza, i casi più disperati, scippavano e rubavano per poi rivendere e mettere insieme il gruzzolo, e qui c’è poco da scherzare perché sapete benissimo che c’erano anche modi più degradanti di tirare su la quota necessaria. C’erano i momenti delle crisi e dello stare male e dell’eroina tagliata grossolanamente, ogni tanto capitava in centro quello che crollava per terra e gli amici scappavano perché le storie erano davvero tese, poi la Polizia e l’ambulanza e cosa gli raccontiamo. In certi momenti non si guarda in faccia nessuno.

Li vedevi nei momenti della catarsi, il massimo effetto di quello che avevano in corpo, fasi in cui i drogati vivevano nella dimensione parallela. Non ti vedevano, ti scontravano camminando, si addormentavano seduti sulle panchine con la sigaretta in bocca che si consumava e la cenere che gli cadeva sulla camicia sudata. Li vedevi sui treni, all’andata al limite della sopportazione, al ritorno fatti e finiti che a volte il controllore doveva svegliarli al capolinea. E li incontravi nei portoni nei pressi delle farmacie di turno, abitualmente, alla stessa ora, con tutto il loro necessaire per affrontare il viaggio. L’acqua, il cucchiaino, l’accendino, la monodose. Facevi anche conoscenza, ciao non ti preoccupare appena ho finito pulisco tutto. Comunque quando scendevamo le scale, nella penombra, era sempre d’obbligo controllare se era vero, se non c’erano chiazze di sangue o aghi lasciati in giro. Poi i drogati si sono avviati all’estinzione, almeno quelli che abbiamo conosciuto noi con i loro riti e il loro desiderio di autodistruzione, di essere kamikaze per lanciarsi carichi di roba buona contro il nemico ed esplodere tra le braccia del futuro, non importa in compagnia di chi.

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