della premura e della pressione

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Il primo è quello dentro che ci avvisa della situazione di emergenza, c’è qualcosa di estraneo al nostro stato di incoscienza che ci avvisa che dobbiamo attivare la stessa procedura che abbiamo messo in esecuzione un numero di volte che a calcolarlo ci si perde un po’, che è quella che impone al nostro organismo di svegliarsi e spicciarsi a premere il secondo pulsante della giornata per zittire la sveglia. Poi c’è la prima luce della giornata, quella del bagno e fatto quello che si deve fare c’è un interruttore uguale in cucina. I più temerari schiacciano anche quello della radio, a volte un pulsante altre è una manopola vintage da ruotare e altre ancora addirittura un tastino di un telecomando. Poi ci sono quelli abituati bene che hanno la macchinetta del caffè automatica ed è un altro bottone di accensione, a meno che non si tratti di uno di quei modelli programmabili che oggi sono molto di moda e che ti viziano soffiandoti l’aroma della miscela preferita fino in camera da letto.

Da lì si inizia a non contarli più perché a tirare fino a sera, fino all’ultimo che spegnerà l’abat jour sul comodino, tutto ciò che esercita una pressione su di noi ci induce ad esercitare una pressione su un pulsante o su una cosa simile da schiacciare. Quello per accedere al piano sottoterra nell’ascensore dove ci aspetta l’auto nel garage per portare i figli a scuola e poi cominciare la nostra giornata professionale, un viaggio breve solo in apparenza perché cela un vero e proprio allunaggio in un pianeta parallelo che ci allontana sempre più dalla nostra base sulla terra. Quello dell’autoradio che ci vomita addosso tutte le cattive notizie del momento. Il citofono dell’ufficio con un sistema automatico che ci dà il benvenuto alla nostra dose di produzione quotidiana.

Per non parlare di tutti quei tastini con lettere e numeri e funzioni e combinazioni che ormai le nostre dita conoscono alla perfezione. Per vincere la noia e sfidare noi stessi a volte chiudiamo addirittura gli occhi e le mani vanno da sole nemmeno avessimo fatto dattilografia alla scuola per segretario d’azienda che probabilmente non esiste più, chissà, e poi li riapriamo e controlliamo quello che abbiamo scritto e non troviamo nemmeno un errore ma attenzione, perché basta solo spostare di pochi millimetri la posizione delle mani sulla tastiera e mantenendo le stesse proporzioni si genera un vero e proprio sistema di cifratura come quel gioco che c’era sul Manuale delle Giovani Marmotte. Già. Il tutto su un computer che abbiamo acceso in qualche modo e che poi a fine giornata spegneremo probabilmente con lo stesso bottone. Nel mezzo abbiamo intanto smistato chiamate in arrivo sulla pulsantiera del telefono, abbiamo scelto il surrogato di caffè alla macchinetta optando per le relative condizioni. Lungo o corto o moccaccino (una parola che mette i brividi) e più volte premiamo il bottone e più diminuisce la quantità di zucchero. Insomma ci siamo capiti.

Tutto questo schiacciare che contraddistingue la nostra giornata ha in sé un significato, ed è qui che volevo arrivare. Tutto questo attivare o arrestare processi automatici aumenta la nostra consapevolezza oramai scontata che tutto funziona e tutto ha un meccanismo che non si inceppa mai. Spingi e via. E poi? Ogni cosa sembra essere a portata di clic, e lo si impara da piccoli. Facevamo un gioco, io e mia figlia, tempo fa, quando non sapeva ancora leggere e toccava a me accompagnarla nel sonno narrandole una storia tratta da uno dei suoi libri preferiti. Sapete come sono i bambini, fosse per loro passerebbero il tempo ad accendere e spegnere interruttori, qualunque essi siano, perché per loro dev’essere qualcosa di magico. E i grandi si inventano minacce tipo basta che si rompe, si fulmina la lampadina, prendi la scossa, si può generare un incidente nucleare e via dicendo. Così mia figlia si divertiva proprio con la lampada del comodino. Accesa e spenta. Accesa e spenta. E il gioco era che io leggevo con la luce accesa e interrompevo il racconto non appena premeva l’interruttore. A quel punto la storia si perdeva un po’ e lasciava spazio a quel sistema surreale di approvvigionamento energetico verso gli essere umani narratori. Che si possono attivare e disattivare a comando. E il bello era che potevamo andare avanti anche mezz’ora, se la lampadina si brucia chi se ne importa, pensavo. Che poi non è mai successo. Lei si divertiva e va bene così. E chissà cosa le è rimasto di quel potere che presumeva di avere, perché si arrivava a un punto in cui dovevo rompere l’incantesimo. Parlavo anche al buio e dicevo ora basta, dai, dormiamo. Ma la magia riprendeva la sera successiva e poi quella dopo e c’era sempre da sbellicarsi dalle risate, vi giuro, sia io che lei ridevamo fino alle lacrime. Ecco, tutto questo avviare dovrebbe meravigliarci ogni volta, l’incantesimo delle cose che vanno nel verso in cui abbiamo premuto il pulsante. In avanti, verso il dopo, verso la luce che si accende, perché al buio c’è quasi sempre qualcuno che ci tranquillizza.

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