roba che scotta

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Quando leggo di papi, uomini politici, potenti, esponenti del jet set, protagonisti e comparse della vita pubblica che si  accingono a fare una cosa terribilmente di moda, a intraprendere una abitudine che fanno tutti come quella di salire su Twitter mi vien da ridere. Come per tutte le cose che uno dovrebbe fare naturalmente perché parte della contemporaneità che vive e che, come tali, può scegliere o no di farle proprie a seconda delle inclinazioni, del tempo a disposizione, dello scopo per cui si intraprende un’attività, e invece no. La componente un po’ ridicola è quello di annunciarlo prima perché la cosa in sé fa notizia. Il Papa domani comporrà il primo tweet. Monti sbarca su Twitter. Altrettanto disdicevole è poi il contenuto in sé, pensieri o illuminazioni che non c’è differenza a dirle a voce, raccontarle a un giornalista, scriverle su un muro o condividerle con i propri followers. Voglio dire, mai come sull’Internet il mezzo è il messaggio e ciò che uno pubblica fa tutt’uno con la piattaforma utilizzata. Pertanto, divulgare stralci dalla propria agenda che uno li ha già letti e sentiti un po’ ovunque, e ora trovarseli anche condensati in quei cento e rotti caratteri sembra oltremodo ridondante e finalizzato solo all’esserci e all’occupare anche quello spazio. Quando invece ci vorrebbe così poco per ingegnarsi in contenuti differenti a seconda di cosa si utilizza, o non utilizzarli affatto perché tanto non c’è differenza, chi sta su Twitter è perché sta contemporaneamente ovunque quindi uno poi alla fine si stufa ma no, la soglia di sopportazione in casi di sonnolenza da sovraesposizione mediatica è elevatissima. E come ve li immaginate quelli che si mettono con il laptop sulle ginocchia e aprono il sistema di composizione ancora prima di sapere che cosa scrivere? I divulgatori del sé pubblico dovrebbero sapere che l’uso professionale dei social media è stato inventato da quelli che postavano foto del proprio sedere o del gatto di casa dal divano e che hanno avuto la brillante idea di far credere urbi et orbi che c’era una domanda crescente di presenza sul web, per poi essere pagati per non togliersi nemmeno il pigiama durante le ore di lavoro. Così ogni notizia che rimbalza dall’uno all’altro nick che ogni influencer ha adottato nella propria dimensione parallela diventa un loop che si ripete all’infinito, e che gli entusiasti e i prezzolati fanno finta che sia la prima volta che si legge e che si sente, in un eterno autocompiacimento e sbigottimento per il quale – guarda un po’, è sbalorditivo! – si può anche cambiare l’immagine di sfondo e persino il colore del font.

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