per più fiate li occhi ci sospinse quella lettura, e scolorocci il viso

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Qualche tempo fa, a quella trasmissione della domenica con le classi delle superiori che si sfidano sui libri, c’era un gioco in cui i ragazzi dovevano correre e suonare una campanella tipo il musichiere. Il giudice leggeva un brano e un rappresentante della classe si precipitava a dare la sua risposta, ma io non avevo seguito bene le regole perché facevo dell’altro. Il concorrente doveva indovinare titolo e autore dell’opera, ma poi ecco che c’è stato un equivoco, che è quello che su cui ho riflettuto fino a quando, come spesso succede, mi è venuta voglia di scriverlo qui e avviare una discussione. O, meglio, l’equivoco è stato tutto mio. Perché il giudice ha letto un brano tratto dalla Divina Commedia che ha attirato la mia attenzione in quanto parte di uno degli svariati canti che ho imparato a memoria, un po’ alle superiori e un po’ all’università, roba che naturalmente non ricordo più se non a stralci perché, come tutti, ho fatto spazio alle scemenze che la modernità ci ha venduto come il codice di accesso alla saggezza eterna. Il giudice ha letto qualche verso, a malapena un paio di terzine, uno dei giocatori è scattato di corsa, ha suonato la campana per primo e ha dato la sua risposta. “La Divina Commedia. Dante”. Grazie al cazzo, mi è venuto spontaneo malgrado ci fosse mia figlia nelle vicinanze. Ho pensato che scemo, quel ragazzo, ma che risposta ha dato? Se non sapeva il canto da cui quel verso è tratto perché è corso a rispondere? Non penserà mica che la risposta fosse solo quella?

E invece era proprio così. La risposta da fornire era il nome dell’autore, Dante, e il titolo dell’opera, la sappiamo tutti no? Il giudice non pretendeva altro e io ci sono rimasto male, e non perché sapevo il canto e il regno ultraterreno in cui la scena si svolgeva, ma perché mi sembrava una risposta molto ovvia. Come quando sentite il riff di Smoke on the water, le prime tre note della Toccata e fuga in re minore di Bach, il sapore del curry, la Gioconda, Saturno con i suoi anelli, i Blues Brothers eccetera eccetera. Cose che riconosci all’istante, tanto che è persino banale confermare a qualcuno il fatto di averle riconosciute. E, nel nostro caso, si dovrebbe riconoscere subito il canto, altro che autore e titolo, a maggior ragione se partecipi a una trasmissione sui libri occorre sapersi orientare.

E invece no, non è più richiesto. Basta sapere solo che è Dante, che è la Divina Commedia. All’esame di Italiano circolava un’edizione completamente priva di riferimenti. Pagine, note, indicazioni, numero del verso, forse anche titolo ma questa è una leggenda metropolitana. Niente di niente. Il professore o il suo assistente ti mettevano la rivoltella carica in mano, te la facevano puntare alla tempia, perché lasciavano la scelta casuale ai candidati. Apri a caso e dimmi dove siamo. Ecco, ci sono decine di occasioni nella vita in cui una risposta così non basta. La Divina Commedia. Dante. Bum. E non ripresentarti al prossimo giro, perché è un gioco in cui hai perso.

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