impiegato gestione logistica

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Si fa presto a dire corso professionale, come si fa presto a dire lavoro. Il messaggio riportatogli dalla sorella maggiore diceva proprio così. Che era passato Valerio, aveva citofonato e aveva chiesto di lui. Doveva parlargli di lavoro. Come se fosse matematico che uno mette su un servizio e c’è qualcuno che glielo compra senza passare dalla fattibilità del progetto, dagli studi sulla domanda e l’offerta, il marketing e la comunicazione, il posizionamento e il costo. Il target. Se il luogo in cui lo proponi consente potenziali acquirenti. Da secoli funziona così. Vendere e comprare non è certo una passeggiata. Valerio era lo stesso che voleva dare le sue consulenze alla società a cui gli avevano proposto di far parte, consulenze on demand ma on sua demand, sua nel senso di lui. Vengo due o tre ore al giorno in ufficio quando sono libero e voi mi pagate le prestazioni, gli aveva detto e il suo potenziale datore di lavoro gli aveva fatto notare che difficilmente le ore che Valerio poteva mettere a disposizione sarebbero coincise con le ore in cui qualcuno avrebbe avuto bisogno di lui. Anche sua sorella gli aveva ricordato questa visione professionale poco realistica di Valerio, comunque lui lo aveva chiamato lo stesso per avere i dettagli. Non si sa mai. La situazione non era dissimile, in quanto a opportunità. Ancora una volta Valerio sembrava trovare troppo facilmente il punto di unione tra pianificazione e potenzialità rispetto a messa in pratica. Non esiste una predicibilità, ricordati del rischio di impresa, gli voleva dire. Ma a Valerio non diceva mai come stavano le cose, era troppo complicato. E infatti, poi, non se ne era fatto più nulla.

Valerio si era poi iscritto a uno di quei corsi fumosi di informatica dove insegnano a fare il programmatore mysql e database sponsorizzati dalle aziende che poi tirano su tre o quattro iscritti – i migliori – e li tengono per uno stage, mentre gli altri li piazzano a fare tirocinio in altre realtà dove poi alla fine svolgono mansioni che con il corso c’entrano poco. Il tecnico hardware, per esempio. Aiutare a inscatolare tutto per l’imminente trasloco. A nulla sono valse otto ore di frequenza obbligatoria tutti i giorni senza nemmeno uno straccio di pasto pagato. D’altronde sono già fortunati che il corso non fosse a pagamento e che qualche remota opportunità di impiego fosse almeno indicata tra gli obiettivi didattici. Gli insegnanti, tutti collaboratori della ditta organizzatrice, ci tenevano anche a farli venire vestiti bene almeno un giorno fisso della settimana per abituarli poi al mondo del lavoro, dove è d’obbligo un look in linea con gli arredi ereditati dalla partecipata Sip che aveva occupato quegli spazi negli anni novanta, con gli scaffali grigio sindacato e gli adesivi di campagne contro questo o contro quello che oggi, che a malapena abbiamo un panino assicurato al giorno, tutti quei diritti sembrano addirittura superflui. Valerio io invece lo incontravo sul treno al ritorno, teneva in braccio lo zainetto con il portatile dentro che gli avevano regalato gli zii per il compleanno, il trentesimo, e dopo un po’ che gli parlavi si addormentava e gli cadevano gli occhiali sul mento. C’era qualcuno più giovane in quello stesso corso, neolaureato con identiche prospettive ma con il tempo dalla sua parte, che poi avrebbero favorito per la carriera in azienda al suo posto. Non credo che lui lo abbia nemmeno terminato, visto che gli era stato prospettato di fare esperienza su un software gestionale di un magazzino, quelli di millemila metri quadri che li vedi arrivando a Milano dall’autostrada. Qualunque cosa, in fondo, è meglio che fare il data entry da vecchio.

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