sawˈdadi o sawˈdadʒi

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La signora seduta dietro di me sul tram fa notare al passeggero che occupa il posto accanto a lei che quello della fisarmonica è uno dei suoni più sfuggenti nella musica. Gli racconta che se dovesse dipingerlo o disegnarlo lo rappresenterebbe come un velo di quel tessuto sottile e bucherellato che si usa per avvolgere i confetti nelle bomboniere di cui le sfugge il nome. Un suono incerto e leggero in balia del vento impossibile da afferrare e da inseguire mentre vola lontano fino a quando si perde dal raggio del nostro udito. Lui tace per qualche istante, lo immagino assorto nell’assimilare la similitudine tra gli scossoni della carrozza, le vie del centro gremite di avvocati e assistenti, siamo in piena zona tribunale. Il suonatore ambulante a malapena mantiene l’equilibrio malgrado la segnaletica imponga all’autista la velocità a passo d’uomo. Il genere umano è tutto condensato in quella tratta di viaggio: ci sono bellezza e miseria, operosità e speranza, in cui spiccano il profumo del dopobarba e qualche sentore di caffè misto a tabacco. La donna che ben sa come si descrive un timbro non la vedo, non oso voltarmi, ma la immagino cercare sospeso in aria il tema che il suonatore sta accennando che è quello di un noto successo di musica commerciale brasiliana in portoghese di tanti anni fa in cui la fisarmonica è protagonista. C’erano i ballerini che davano scandalo sulla spiaggia, strusciandosi alle note della Lambada. Ci sono stati film e anche un recente reprise pop. La tastiera dello strumento, che non è una vera e propria fisarmonica, non consente al musicista di eseguire la nota più alta del tema, oltre l’ultima ottava di estensione, costringendolo a suonarla in quella sotto. Non si tratta nemmeno  di un bandoneon, che sarebbe la morte sua. Con una resa inappropriata che smorza un po’ il potere evocativo, già menomato dall’ora di pranzo incombente. Il velo di tulle, ecco si chiama così, cara signora, quel tipo di tessuto intrecciato quasi trasparente. Il velo di tulle posso concederle che sia proprio quella nota mancante lasciata alla nostra immaginazione. Il tram rallenta, la Lambada si esaurisce in un dubbio accordo risolutivo, il suonatore passa con il bicchiere della coca cola tintinnante di centesimi. Io mi giro di là, verso la dimensione delle note mancanti, sono certo che qualcuno contribuirà all’elemosina al posto mio.

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