fanno tre like e un retweet, che faccio glielo incarto?

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Se lavorate nei socialcosi le metriche di successo e di valutazione della vostra professionalità possono dipendere fortemente da quante ditate uno mette sul pollice all’insù e ci sono clienti davvero esigenti in questo come se piacere al prossimo fosse il risultato di un algoritmo. Le scuole di pensiero sono alle curve opposte delle arene in cui si scatena la gazzarra dell’hype nei confronti delle cose nuove che consentono un profitto e tutti hanno la loro ricetta. Ci sono quelli che basta applicare le regole da manuale, ci sono quei pochi altri indipendenti che giustamente invece no, è come quando uno vuole lasciare il partner e il partner dice di rifiutarsi, come se servisse a qualcosa. Il guaio è che stiamo perdendo il senso della realtà perché ci sembra un affronto che il frutto della nostra intelligenza non sia adeguatamente riconosciuto in modo manifesto, ma riflettiamo: siamo così certi che in passato abbiamo sempre detto la nostra o applaudito o fischiato su tutto nella vita reale? Leggo poi di tecno-integrati che si disperano per le quantità di clic e fanno delle statistiche la loro terapia, ci sono anche teoremi su complotti delle grandi potenze mondiali dell’IT che dopo un summit che nemmeno a Yalta toglierebbero manciate di consensi virtuali a questo e quello per spingere gli utenti a investire in approvazioni farlocche. Insomma, se già la pubblicità tradizionale ci dava l’idea di un castello di carta, il sistema dell’advertising sul web ha più le sembianze di una bolla ma nemmeno di sapone, sembra più saliva.

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