macro-economia per micro-individui

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Poi un giorno verrà fuori che è vero. Come il declino dei Romani può esser stato causato dal non so che metallo disciolto nell’acqua, magari alla base di questa recessione sussiste il fatto che non abbiamo più voglia di fare una mazza perché preferiamo commentare gli status altrui su Facebook o rincorrere le querelle tra vip su twitter. Quindi individualmente mettiamo un po’ della nostra inettitudine in orario di ufficio e sommata a quella degli altri cinque miliardi di nostri contemporanei alla fine rallenta tutto, tranne la smania di consumare. Sembra la storia del battito d’ali della farfalla e del terremoto dall’altra parte del mondo, vero?

E applicando in senso lato questa debole tesi, pensate alle piccole rogne e gatte da pelare che ci aspettano già pronte e lavate e già mangiate e vestite di tutto punto ogni mattina per accompagnarci durante la giornata. Perché l’umore del singolo non influisce sull’umore della gente, non contribuisce alla sollevazione di popoli, non decreta l’esito di elezioni tanto quanto una gaffe di un candidato a pochi giorni dal voto? Magari le giornate meno produttive sono proprio la causa di quei dati sull’andamento della borsa che snocciolano alla sera gli anchor man dei tiggi, in modo più o meno urlato a seconda dell’indole mentanosa, e sulla produttività incide davvero il mio mal di schiena o il tizio che si è incavolato perché gli si è rotta la chiave nella serratura del cancello condominiale e già è inviso agli altri inquilini perché mette il polistirolo nella carta. Per non parlare delle sciagure che ti porti dietro per settimane, mesi e addirittura anni, quelle per le quali vai anche in analisi. Come fa una società come la nostra a non tenerne conto? Se su tot milioni di persone la metà oggi sono tristi per tutti i loro motivi, stasera potremmo vederne delle belle.

Ma io ho scoperto il motivo per cui, in realtà, non è così che funziona. Posso dimostrare che sulle sorti della nostra civiltà gli adulti non hanno nessuna influenza perché non siamo noi a comunicare con l’esterno. Vi faccio un esempio. Come tanti di voi, io ieri – che già era lunedì, e non aggiungo altro – non ho avuto un attimo di tregua: sveglia, prepara la colazione, controlla che la bambina sia a posto per la scuola, treno, in ufficio fino alle 18, treno del ritorno e poi ginnastica, prepara la cena ché moglie e figlia rientrano alle nove, cena, sistema la cucina, gatti e controgatti e poi nemmeno una pagina di libro, quando leggo a letto crollo immediatamente. Questo naturalmente moltiplicato per due, anche mia moglie non scherza in quanto a logorio della vita moderna. Che cosa volete che trasmetta al suo ambiente di riferimento l’uomo del duemila se è conciato così?

In questo modello in cui gli adulti operano almeno diciotto ore al giorno per quello che i più stigmatizzano con il “mandare avanti la baracca”, gli unici contatti con l’esterno li abbiamo tramite i nostri figli, almeno quelli piccoli, diciamo in età pre-adolescenziale. Sono loro la vera “forza vendita” di questa economia degli stati d’animo, quelli che diffondono sul territorio tutto quello che si costruisce dentro alle mura domestiche. I più piccoli sono quelli che, inconsapevoli dei macro-sistemi, tessono le veri reti sociali e si fanno ignari portavoce delle nostre esistenze. Sono i bambini che anche se si svegliano malvolentieri, poi alla fine finiscono col fare con entusiasmo tutto, e grazie a questo vero e proprio think positive le cose succedono, il mondo va avanti, il morale è quello giusto per carburare il moto di rotazione e rivoluzione di questa palla malaticcia su cui siamo schiacciati senza possibilità di fuga. Noi possiamo tornare nelle nostre scatole, là fuori non c’è bisogno di noi, l’economia gira lo stesso anzi meglio, rimbocchiamoci le maniche che questo è il nostro destino.

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