alcuni aneddoti dal futuro degli altri | 02.11.13

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Taccuino 22, “I say i’ sto ccà (1)”: Era il tempo degli stivaletti e delle Simca, dei contestatori che contestavano, della Democrazia Cristiana che democratizzava cristianamente il paese, di qualcuno che in periferia moriva di overdose e delle radio libere che mettevano alla prova un nuovo tipo di intrattenimento, fatto di musica e informazione di quartiere e che, tra la notizia di un’occupazione e un approfondimento junghiano, lanciavano nell’etere un miscuglio di songs d’oltremare e di melodie nostrane. Fu allora che cominciò a circolare una voce tra noi preadolescenti impegnati negli ultimi anni di elementari: ascoltate il nuovo pezzo di quel cantautore napoletano, si diceva, un certo Pino Daniele mi pare, ma sì, quello che non si capisce che dice. Pare sia una vera bomba.

Squonk, “Quelli che partono da soli”: Quelli che partono da soli non sono tutti uguali. E non importa quanto il viaggio che li aspetta è lungo, e dove li porta.

Un italiano in Svezia, “Alla Helgons Dag”: La celebrazione dei defunti è, come spesso capita qui nei mesi di buio, un’occasione per fare ricorso alla luce; non sono infatti i fiori l’elemento principale della commemorazione, ma proprio dei suggestivi ceri bianchi che vanno ad illuminare i cimiteri svedesi.

Rivista Studio, “Complottismo for dummies”: I social network non sono solo una zona franca dove tripudiano video buffi, articoli provenienti dalle fonti più disparate e tenere foto di gattini: sono anche un teatro di guerra tra oscure forze del Male e attivisti che cercano di svelare le loro turpi macchinazioni. Se non ci credete, chiedetelo agli admin di Protesi di complotto, una pagina di Facebook che si dedica 24/7 a raccogliere e catalogare le migliori manifestazioni del sottobosco del complottismo italiano.

The New Yorker, “Heroin” Was Our Heroin”: After two decades of listening to their albums, and of scraping together modern-day connections to the band where I could—watching Reed and Cale play some of “Songs for Drella” on Letterman, in 1990, reading articles about the band’s European reunion tour in 1993 (Tucker: “ ‘Heroin’ is our fireworks. ‘Sister Ray’ is our fireworks”), seeing Morrison sit in with Tucker in 1994, and spotting the lovably cranky Reed around town after I moved here, in 2000, and keeping a respectful distance—I waited for this event, so much purer than any live Velvet Underground experience I’d managed to glean before, with the level of anticipation that Waldo Jeffers felt inside his box. It would be soon.

Un bit al giorno, “Ti lascio… un tweet”: 2 novembre. Penso quanto sia cambiato negli anni il modo per ricordare. Almeno per me. Perché con le “briciole digitali” il ricordo delle persone che non incontro più riaffiora quando rispunta un tweet, un tag su una foto di un album di Facebook, uno scambio di messaggi o di email.

Rem tene, verba sequentur. O anche no?, “Uomini e soldi”: Il moroso sceglie, io piglio le ciabatte e mi accorgo che, tra tipo 50 pantofole variamente nonnesche, ha scelto quelle – LE UNICHE – che costano come un paio di scarpe.

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