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«Dovresti esercitarti nei dialoghi, non puoi continuare all’infinito raccontando cose attraverso discorsi indiretti.»

Il solo fatto di aver trovato facilmente con Google la combinazione di tasti da digitare per ottenere i caporali aperti e chiusi, come nei libri stampati, gli aveva stimolato un nuovo modello di scrittura, sebbene nei suoi post non sentisse così pressante l’esigenza di cambiare il proprio stile. Considerando anche la discutibile popolarità che stava riscuotendo, testimoniata dal freddo rendiconto delle statistiche, non vedeva un gran bisogno di apportare novità. Ma quell’interlocutore inventato, che solo grazie a interventi in prima persona aveva trovato come attirare il suo interesse, sembrava non voler lasciarsi scappare un’opportunità così facile per ritagliarsi un po’ di consenso.

«Non so. Sono perplesso.» gli rispose. «Di certo dipende dall’autorevolezza della controparte. Non mi pare, tanto per fare un esempio, che alle tue parole corrisponda una personalità stand-alone. Sei in grado di provarmi il contrario?»

Non aveva tutti i torti. Dare voce a personaggi inventati per finzioni narrative era provato essere una pratica rischiosa per certi autori come lui, con poca esperienza editoriale, anzi nulla. Potevano manifestarsi infatti controindicazioni ed effetti collaterali. Potevano prendere vita alter ego con sufficiente attitudine all’indagine psicologica da notare e mettere per iscritto dettagli intimi spuntati dalla sera alla mattina, nuove angosce o pensieri fino ad allora compressi dalla quotidianità. Ma anche particolari fisici mai notati a causa dell’abbigliamento consono alle stagioni fredde, tutti quegli strati da cui si capisce poco o niente di come è fatto un corpo. Carne in eccesso all’estremità inferiore della schiena strizzata sopra la cintura. Ma anche cose ridicole come singole sopracciglia di lunghezza spropositata rispetto ai parametri medi di crescita.

«Ti ricordi quella pratica di fotografare due persone in un unico scatto separate tra di loro?» lo incalzò per ritagliarsi ancora qualche istante di vita prima della fine del post. «Così si stampava una sola copia per risparmiare e la si tagliava a metà con un soggetto in una e uno nell’altra da consegnare ai rispettivi interessati? Potrei essere la persona ritratta nella parte mancante di quella che hai trovato nell’agenda di seconda liceo a casa dei tuoi genitori.»

L’autore provò a ricordarsi di quel particolare. Poteva trattarsi di uno di quegli amici vestiti da comunione e liberazione, con k-way, abiti sportivi e scarpe da trekking come se dovessero farsi trovare sempre pronti a inerpicarsi su per le montagne per avvicinarsi il più possibile a Dio. O peggio, uno di quegli esagitati fanatici dei videogiochi da bar che muovevano il loro corpo in modo osceno, simulando quasi un amplesso con la macchina, dando così maggior potenza alla mano sul joystick e alle dita sui pulsanti per far saltare ammassi di pixel antropomorfi verso monete, cuoricini, frutta e varie amenità remunerative.

«Meglio che torni a esprimermi tra me e me». Questa gli sembrò la risposta più sincera con cui tornare alle sue abitudini. «Magari un giorno proverò con un romanzo, ho già in mente una trama. Se torni nelle bozze di WordPress e te ne stai buono lì è facile che abbia davvero bisogno di un protagonista». Per quella voce invisibile, al momento, non c’era ancora posto.

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