prisencolinensinainciusol

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Fino a quando, un giorno, sarete chiamati a tradurre in italiano i testi delle vostre canzoni dall’inglese approssimativo in cui le avete composte. Sarà un trauma perché sarete costretti a dare un senso ai vostri pensieri e non solo un verso che ci sta bene con la metrica, considerando che a scrivere liriche in inglese, come fanno molti gruppi italiani che cantano in inglese, ci riesce anche mia figlia. Ma tanto noi italiani siamo agevolati dal fatto che all’estero non ci incula nessuno e quindi, rivolgendoci a un pubblico locale che a malapena sa come si dicono i colori, i numeri e i giorni della settimana, ci facciamo pure la figura degli esterofili. Ma se avete la fortuna che un produttore mette gli occhi su di voi siete fregati, perché a nessuno interessa un progetto che, fuori dall’Italia, anche nell’era di Internet, non avrebbe la minima possibilità di emergere. Tanto vale spartirsi quelle poche centinaia di incalliti scopritori di novità underground che però vogliono poter utilizzare i vostri aforismi come arma di seduzione nei commenti su Facebook. Insomma, dovreste tutto sommato essere contenti, perché di tradurre i testi in italiano ve lo chiede la casa discografica, ve lo chiedono i vostri fans. La società intera. Dio stesso. Il sacro fuoco delle parole con un significato riconoscibile e compiuto alimenterà la vostra arte mandando a monte i vostri esercizi di anglofonia, tutti pieni di quelle parole tronche che, del rock, sono la morte sua. Perché di monosillabi come qui, tu, più, su, te, già, giù, sì, là, lì, no non è che ne abbiamo tanti, e già dalla seconda strofa ogni paroliere fa fatica. E poi vi voglio vedere a rendere in italiano i phrasal verbs anche se, usandoli a cazzo, nemmeno vi eravate accorti che non hanno un significato corrispondente all’azione del verbo puro da cui derivano e quindi, già di per sé, volevano dire un’altra cosa da quello che intendevate. Per questo si fa prima a parlare d’amore, nelle nostre canzoni. “Ti amo” e “I love you” occupano, più o meno, lo stesso spazio nella bocca di chi le pronuncia. Purtroppo dire “cuor” invece di “heart” non vuole più nessuno, sono finiti i tempi di Claudio Villa.

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