la moda tamarra e il cambio degli armadi

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Ad alcuni elementi, diciamo “di servizio”, integrati nell’arredo urbano oramai non ci facciamo più caso, tanto fanno parte del nostro campo visivo e del quotidiano. Pensate ai tombini: e chi li nota più? Facciamo caso alle cabine telefoniche perché oggigiorno sono delle rarità soprattutto in posti come Milano e, quando ci imbattiamo in un ferrovecchio superstite della rivoluzione della telefonia mobile, ce ne accorgiamo eccome. Oppure la cosa ci favorisce una riflessione: quanto da ragazzi erano un aspetto normale delle nostre città, tanto oggi ci fanno tenerezza per la loro obsolescenza, come qualunque sopravvissuto di un’epoca che non esiste più.

Ci sono poi gli armadi tecnici che, invece, nessuno si è mai filato di striscio. Intendo quei cabinotti grigi che servono alle società di distribuzione dell’energia o ai carrier della telefonia fissa e di Internet cablata come hub – passatemi il termine – da cui si dipanano le ultime miglia che distribuiscono capillarmente i servizi di cui non possiamo più fare a meno e la cui disponibilità diamo per scontato fin dentro le nostre case. Quei cabinotti grigi contengono centraline che, per forza di cose, devono stare lì dove stanno e che fortunatamente sono talmente mimetizzati che, davvero, passano inosservati, a meno che qualcuno non vi inserisca un qualcosa che introduca una variante che salti all’occhio a chi è dotato di maggior spirito di osservazione.

Vi faccio un esempio stupidissimo ma che rende l’idea. Sotto la casa in cui vivevo da ragazzo c’era uno di questi armadi dell’Enel e Luca, che a quanto vedrete era un copy a sua insaputa, con un pennarello aveva rivisitato il lettering del nome dell’allora compagnia detentrice del monopolio dell’elettricità con un pennarello. Da un giorno all’altro, sul suddetto armadio, il logo era diventato “Enel culo te lo metto”. Potete immaginare come la boutade avesse rotto la monotonia di quel grigio armadio di metallo e la nostra di ragazzini attirati dalle parolacce e dalle volgarità.

Il breve tragitto che percorro ogni giorno, uscito dall’ufficio, e che mi separa dalla stazione di Milano Dateo, ho scoperto che comprende almeno tre di questi cabinotti marchiati, se non ricordo male, Telecomitalia. Sono armadi di medie dimensioni e da pochi giorni ho capito come ho fatto a notarli, in mezzo a case molto belle, in un quartiere di Milano piuttosto elegante. Ho notato questi armadi perché ospitano visual di campagne pubblicitarie e, essendo tutti coperti da poster della stessa marca di abbigliamento, si deve trattare per forza di una locazione di spazi per advertising urbano, un modo comunque intelligente per tirare su qualche lira sfruttando dei costi fissi da parte della società proprietaria degli armadi.

Poi ho capito che il dettaglio che mi ha fatto notare quegli armadi usati come spazi pubblicitari, in mezzo a tante altre affissioni di ogni tipo, è che le pubblicità che ospitano sono piuttosto disturbanti. Sono manifesti di uno stilista che si chiama Frank Morello (a me sconosciuto ma che inizialmente avevo confuso con Tom Morello dei RATM) e le immagini e i modelli ritratti sono agli antipodi miei canoni estetici. Tempo fa il soggetto era un ragazzo con un taglio di capelli discutibile e vestito da idiota tenuto al guinzaglio da una specie di anoressica e, prima di capire tutto il gioco delle parti, subito ho pensato si trattasse di un nuovo e maturo esercizio di stile di Luca che, magari, visto il successo di “Enel culo te lo metto”, si è dato davvero alla pubblicità.

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