il venerdì nero che non fa sconti a nessuno

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Non ho ancora capito se all’ingegner M. vada a genio il tipo che si scopa sua figlia. Magari un giorno vedrò le cose con gli occhi di un genitore. Al momento, però, cerco di trovare un pretesto per avvicinarlo, vedere che aria tira e farmi un’idea. Stiamo parlando di uno scapestrato ma, a essere obiettivi, anche la ragazza in quanto a stranezze non scherza. È davvero carina, ci sono persino scritte – alcune anche piuttosto pesanti – fatte con lo spray sui muri del quartiere dedicate ad alcuni dettagli del suo corpo. Il problema è che è completamente fuori e questo si riflette nelle cose che sceglie e nelle persone con cui si accompagna. Ha parametri di gusto in fatto di uomini davvero originali, per non dire di peggio, e se non fosse che non sopporta barbe e baffi secondo me si farebbe qualcuno dell’underground umano che dorme per strada. L’ingegner M. è invece un professionista oggi piuttosto avanti con l’età. Probabilmente ha avuto la figlia tardi e la sua matrice alto borghese d’altri tempi, unita all’arrendevolezza caratteriale acquisita da quando ha iniziato a ricoprire il ruolo paterno, lo induce a trattarla come se qualsiasi cosa che facesse andasse bene. O forse gli dice sempre di sì come si fa ai matti, secondo quanto sostiene la saggezza popolare. Il profugo che vende i libri di poesie esotiche davanti alla Feltrinelli mi ha raccontato che hanno avuto un battibecco, lui e l’ingegner M., perché anziché salutarlo con buongiorno o buonasera l’ingegnere gli ha fatto un sorriso senza proferire una parola, prima di entrare nel megastore, e lui dice che un sorriso va già bene, considerando che raramente qualcuno lo degna di una parola e si precipita dentro ad acquistare libri sulla sostenibilità ambientale senza lasciargli nemmeno un centesimo in offerta, ma è meglio guardare negli occhi le persone come si fa in Africa e salutarsi in quel modo ridondante che usano loro, un punto di vista su cui mi trovate d’accordo. Volevo mettere in guardia l’ingegnere proprio sul rischio di essere fraintesi e sul fatto che, a mio parere ma non solo, sua figlia meriterebbe molto di meglio. Ma poi sapete come vanno le cose, quando bisogna toccare argomenti così delicati. E poi, visto da vicino, sembra molto più vecchio e forse lo è davvero. Abbiamo chiacchierato un po’ ma senza mai arrivare al punto perché ci siamo persi scambiandoci pareri sul fatto che quando uno muore smette di provare invidia per il prossimo, e su questo non ho potuto dargli torto. Entrambi però ci siamo ricordati perfettamente la prima volta in cui abbiamo provato quel sentimento così contraddittorio (l’invidia, non la morte, naturalmente), che per l’ingegner M. ha coinciso con la prima volta in cui si rammenta di aver avuto i brividi da freddo. Ho potuto rilanciare solo con un aneddoto analogo sui brividi ma da vergogna: avrò avuto tre o quattro anni e mia mamma, per cercare un costume da bagno asciutto nello spogliatoio dello stabilimento balneare, mi aveva lasciato senza niente addosso in mezzo alla gente per qualche minuto. Io e l’ingegner M. abbiamo pensato di continuare la conversazione via email. Il suo indirizzo, che per ovvi motivi di privacy non indico qui, è davvero buffo e la dice lunga sul modo random in cui gli indirizzi email vengono generati nei casi di omonimia, con l’aggiunta di numeri e simboli.

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