una volta che schiaccio sull’acceleratore non posso più fermarmi

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Al conducente non si può parlare, ma questo non gli vieta di tenere discorsi ai passeggeri dell’autobus proprio mentre guida. È come se ne avesse preso in ostaggio un intero carico e proprio durante una delle ore di punta, la mattina quando gli adulti vanno in ufficio e i ragazzi vanno a scuola. “Da questo momento non scende più nessuno”, sembra aver detto e, ingranata letteralmente la quarta, ha imboccato quella sua immeritata corsia preferenziale al centro della circonvallazione interna per precipitarsi al capolinea. Qualcuno munito di biglietto lo definisce un dirottamento in piena regola, mentre tra quelli abbonati c’è gente che fortunatamente conosce bene l’italiano e fa notare che no, la rotta resta sempre uguale e persino il tizio al volante non è cambiato. Una signora vorrebbe chiamare il 112 ma si accorge di aver finito il credito sul suo smartphone. Nessun altro si offre perché quasi tutti hanno il telefono aziendale e una telefonata alle forze dell’ordine, a fine mese, non riuscirebbero a giustificarla. C’è un addetto ai lavori seduto in fondo al bus, così qualcuno corre a fargli qualche domanda. “Come è possibile che abbia terminato i soldi per telefonare malgrado sia il primo del mese?”. Lui risponde che in effetti il credito c’è ancora tutto ma la cifra che consente al sistema di prelevare mensilmente i nove euro e novantanove centesimi dalla carta di credito per effettuare la ricarica al momento è in rosso. Bisogna pagare per pagare, la modernità impone pure dinamiche di questo tipo. Nessuno sembra aver qualcosa da obiettare, così l’esperto di call center chiede di dargli una valutazione positiva, anche solo una pacca sulla spalla, per il suo intervento risolutivo di help desk fuori dal turno. Nel frattempo, tutti i passeggeri si sono rassegnati a dover prendere un autobus per tornare indietro, una volta giunti all’ultima fermata. C’è chi vede persino il bicchiere mezzo pieno: Franca, per esempio, dalla prima fila dei sedili in coppia, sostiene che per lo meno, una volta aperte le porte, non si ritroveranno a dover vagare nello spazio. Lei ha il terrore dei film di fantascienza in cui succede qualcosa di brutto agli astronauti, tipo quella storia là di Kubrick con il computer che impazzisce o, se siete di un’altra generazione, come in “Gravity” con quell’attore belloccio che prima faceva il chirurgo. In effetti trovarsi in situazione spiacevoli avendo fuori l’assenza di ossigeno, di gravità e persino senza un posto dove trovare un rifugio in caso di pericolo, o anche solo per mettere i piedi per terra, non è davvero il massimo.

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