Napoli è

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Il parcheggio dietro la scuola è deserto, come ogni sabato sera. Le poche auto in sosta appartengono agli avventori della pizzeria friggitoria al di là della strada. L’insegna che richiama uno dei classici della cultura partenopea crea un effetto tutto sommato affascinante con la nebbia dell’hinterland milanese a febbraio. Dalle ventole ai lati delle finestre della cucina si riversano fuori tutti gli odori degli ingredienti dei piatti tipici della tradizione napoletana e lasciano perplessi gli abitanti delle signorili ville accanto e chi, prima di scegliere dove mangiare, valuta con attenzione le conseguenze di ciò di cui l’abbigliamento corre il rischio di impregnarsi. Poi arriva a scaglioni sparsi la compagnia di ragazzi che ha scelto quel parcheggio come punto di ritrovo e zona di confronto sul modo in cui trascorrere la serata. Da una utilitaria di colore pastello un autoradio trasmette a un volume fuori luogo un successo di Nino D’Angelo, ma la cosa più grave è che sono in molti, tutti tra i diciotto e i vent’anni, a conoscere le parole a memoria. Fumano, si muovono a ritmo e cantano a squarciagola senza vergogna. Tutto intorno, riflessi dai fari delle automobili in attesa di guidare la compagnia in chissà quale locale della zona, inizia a cadere una pioggia di algoritmi, particelle composte da cristalli come quelli che formano la neve che muovendosi nell’aria raccolgono dati su suoni, speranze, note, marche delle sigarette, adesivi delle squadre di calcio sui cruscotti, app installate sugli smartphone ma anche affinità tra le possibili coppie che si formeranno da lì in avanti. Poi la canzone finisce e Margherita, a braccetto con sua figlia, ne continua in autonomia il ritornello. Un passante smemorato le chiede di che pezzo si tratta e, come d’incanto, la tempesta di algoritmi torna da dove è venuta a depositare le informazioni registrate, in modo che possano essere utili per l’umanità.

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