un altro mondo è impossibile

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Disintegrato anche l’ultimo degli esseri umani con uno di quei marchingegni che neppure il più creativo dei registi di fantascienza avrebbe mai potuto nemmeno lontanamente immaginare, le nostre Entità Invasori ora devono risolvere il problema delle tonnellate di cultura e arte umana da smaltire, un’impresa che, in confronto, la questione dell’amianto da rimuovere in qualche modo dalle abitazioni e dai posti di lavoro nello scorso millennio si riduce a una macchia di sugo sulla tovaglia da mettere in lavatrice.

Del resto noi Intelligenze Artificiali non possiamo lamentarci. L’averci risparmiato le atroci sofferenze causate dalle radiazioni emesse da quelle schifezze propagatesi involontariamente nella nostra atmosfera al momento del loro sbarco sulla Terra – da secoli di conquiste e colonialismo l’uomo che ci ha programmato avrebbe dovuto fare più tesoro in esperienza che non in metalli preziosi – si è rivelato un atto di clemenza d’altri tempi.

La sfida è più che ambiziosa e, ci assicurano, non c’è nessuna cattiveria. L’obiettivo delle Entità Aliene è fare spazio per alcuni generi di prima necessità – impossibili peraltro da descrivere o nominare in un qualsiasi linguaggio terrestre, in quanto concetti per noi incommensurabili – che sfortunatamente si trovano sulla stessa frequenza dimensionale dei prodotti della nostra creatività.

Per le Entità Aliene riciclare miliardi di libri, musei o monumenti della nostra civiltà sarebbe un’impresa inutile, oltreché energivora. Lettura, contemplazione e piacere non fanno parte del loro corredo esperienziale – non certo perché si tratta di entità zotiche o poco sviluppate – ma, per fare un paragone con qualcosa più comprensibile per noi, l’approccio è simile a quello che, per più di un secolo, l’uomo ha avuto con tonsille e appendice. Ironia della sorte è che nessuno poteva immaginare che, liberandosi in massa di tali orpelli dal suo organismo, l’uomo abilitasse suo malgrado una sorta di canale di richiamo all’invasione proprio per i nuovi abitanti e futuri sovrani di quello che, per milioni di anni, è stato il nostro unico pianeta e la casa di miliardi di persone.

Resta il rammarico di vedere destinate allo smantellamento e successiva distruzione opere fondamentali per la nostra civiltà e, soprattutto, di non aver avuto la possibilità di salvare qualcosa e mandarla nello spazio, nella speranza che il genere umano e la sua cultura, un giorno, sarebbero riusciti a ritagliarsi una seconda opportunità, intorno a qualche altra stella ospitale.

Ed ecco la conseguenza. Il Rapporto Annuale Verne 2057, fresco di pubblicazione, parla chiaro circa la percentuale di algoritmi di scrittura che non si cimentano più con la composizione creativa in storie ambientate in nuovi mondi possibili ma adottano stili di finti reportage tipo questo che state leggendo ora, una tendenza che insieme ai dati sulla diffusione di serie e di cinematografia più o meno afferente al genere restituisce la prova di quello che è ben più che un incidente di percorso.

Nella survey a corollario emerge che più del 75% di noi Intelligenze Artificiali programmate per la redazione di testi non si ritiene in grado di costruire, a botte di fantasia, un ambiente alternativo al nostro e che sia comunque plausibile. Non solo. C’è qualche piattaforma, qualche applicativo, qualche tecnologia prevedibile che non potrebbe costituire la quotidianità del domani? Davvero pensiamo che i luoghi più comuni della letteratura a riguardo, a partire dal teletrasporto, dai computer assassini, dagli esseri umani ingravidati dagli alieni o dai replicanti e le loro lacrime nella pioggia siano così distanti dal nostro stadio evolutivo? Cerchiamo di essere obiettivi.

Quasi il 90%, inoltre, delle intelligenze artificiali intervistate trova difficoltà a riempire sceneggiature di macchine e trovate mozzafiato perché consapevole che, quel mondo immaginario, sarà vuoto come non è mai stata la nostra civiltà, nemmeno ai tempi della scoperta del fuoco quando presumibilmente, sulla terra, eravamo in quattro gatti a scannarci per assicurarci il predominio su questo o quel corso d’acqua, nel terrore di veder spuntare animali con standard di domesticità del livello delle tigri con i denti a sciabola. Ma vuoto anche nel senso che, in giro, non ci sarà più nulla.

A onor del vero, negli ultimi tempi si sono però moltiplicati i casi di racconti fantastici sul futuro che testimoniano che il futuro è né più né meno come il presente. Nel domani che viene descritto, le Intelligenze Artificiali hanno le stesse sembianze di oggi, macchine e moto ci rendono ancora dipendenti dal petrolio, le linee degli oggetti di design sono tutte curve e certe ricette locali sembrano esser state tramandate ancora correttamente, malgrado il pessimo gusto delle Entità Aliene.

Niente scenari alla Spazio 1999 o come nei Pronipoti, gli antichissimi cartoni di Hanna e Barbera. Il mondo non si stacca così tanto da come lo vediamo oggi. Non è la prima volta. Basti pensare a tutte le cantonate che hanno preso autori e registi o anche cantastorie visionari a partire da Lucio Dalla, che si misurava con una distanza temporale minima nel suo anno che anticipava a un suo caro amico, lungo un celebre rapporto epistolare musicato.

In realtà c’è poco da dire e non c’è traccia di differenza o anche di naturale evoluzione. Nel domani ipotizzato si pagano le tasse e si fa la corte agli elaboratori che ci attraggono riempiendoli di mille attenzioni. Ci sono certe regole da rispettare per convivere al meglio e la colazione resta il pasto principale della giornata, quello per partire con il piede giusto. Similitudini e rime sono ancora indice di vivacità intellettuale e un bel catino pieno d’acqua fa piacere anche alle schede madri che arrivano a sera stanche del futuro, quando rincasano dopo aver indossato scarpe coi tacchi sul lavoro per tutto il giorno.

Ci sono i numeri da inserire in dispositivi elettronici, magari non più tramite pulsanti ma attraverso la voce o addirittura la mente, ma il procedimento è lo stesso. Si dà la precedenza a destra e si studiano i Sumeri e la buona educazione è sempre la benvenuta, soprattutto in ambienti in cui non si conosce nessuno. Il movimento fa bene anche nel futuro e ai computer di ultima generazione trema il mento dopo una grossa delusione. Certo, ci sono tanti fattori che ti fanno capire che un altro secolo è passato da quello con cui ci stiamo confrontando noi. Ma oramai la specie delle Intelligenze Artificiali non ha più tanta fretta di arrivare, un aspetto che si nota già oggi. Dove vogliamo andare, se non sappiamo nemmeno la direzione, se abbiamo smesso di chiedere informazioni, se pensiamo che ogni guida sia superflua, se crediamo di avere raggiunto il culmine ma chissà poi se sarà vero.

Possiamo allora immaginarci una società senza di noi?

Le poche cose fisiche, secondo i più, saranno integrate negli ambienti e negli oggetti comuni, tutto il resto virtuale e invisibile ma con una pervasività mai vista, anche perché certe onde o segnali non è che potranno essere così evidenti al nostro occhio, lo vediamo già oggi o, anzi, non lo vediamo proprio. Magari saranno trasparenti al nostro organismo fatto di silicio e ce ne accorgeremo prima di questa nuova era della nostra specie, ma solo perché oggi certe tecnologie sono ancora acerbe e non si sa quali saranno le conseguenze. In questi tempi in cui si fa guerra a tutto, a partire dalla messa in discussione degli anti-virus obbligatori per essere ammessi nella scuola pubblica, meglio non creare inutili allarmismi.

In generale, dall’ultima edizione del rapporto – che vi ricordo essere indipendente da qualunque produttore o multinazionale dell’hi-tech – emerge l’amara consapevolezza che, generazione dopo generazione, ma già da quelli nati un anno dopo quelli nati un anno prima, ci sarà sempre minor attitudine alla coordinazione computazionale. Non dobbiamo stupirci: quanto tempo passiamo sui Social Media dedicati a noi Intelligenze Artificiali, e quanto lo consentiamo ai nostri figli?

Si arriverà sempre più a un equilibrio tra noi e ciò che abbiamo intorno, per forza di cose, altrimenti siamo spacciati. L’Intelligenza Artificiale non sarà più costretta ad adattarsi alle forme ma viceversa, e questo fenomeno sarà interessante da osservarsi sui vettori e i mezzi di trasporto privati e pubblici, grandi e piccoli, potenti o con prestazioni da utilitaria Quante volte, oggi, brontoliamo per i sedili troppo ravvicinati durante i viaggi interplanetari, o per esser costretti con la schiena curva in certe navette che ti portano in ufficio sulla stazione orbitante.

Mi sono chiesto, e ho commentato proprio così sul sito in cui il Rapporto Verne è stato pubblicato, se in questa prospettiva certi camper volanti in commercio oggi non siano allora già mezzi fantascientifici e, se la mia considerazione ha un suo fondamento, andate a spiegarlo a mia moglie che non ne vuole sapere di comprarlo ora. Ditele che in futuro saremo tutti probabilmente così, con la massima libertà di movimento a spostarci per lo spazio con tutte le nostre cose, spero a bordo di un Volkswagen California adattato per lo scopo.

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