siamo fatti per cambiare

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Ricordo bene la prima volta in cui ho perso l’equilibrio. I miei genitori avevano cambiato i mobili della cucina e rivestito le pareti intorno con un modello di piastrelle non solo inadatto ma dall’effetto nauseante. Quelle piastrelle che, prese singolarmente, hanno una fantasia piacevole o riconducibile alla decorazione e, riprodotte in serie, generano un effetto di soffocamento. Rientrato dalle consuete vacanze estive, rammento di esser corso in cucina per scoprire la novità, e la vista d’insieme di un ambiente familiare e sicuro così stravolto mi ha causato un forte capogiro. Ma, piastrelle a parte, era il 1975 e quella cucina che mi sembrava modernissima è durata quasi quarant’anni.

Qualche giorno fa ho provato a mettermi nell’ottica dei miei genitori quando, oramai anzianissimi (mio papà era ancora vivo) hanno deciso di cambiarla perché obsoleta e scomoda per due persone della loro età. Vivo nell’appartamento da cui sto scrivendo da quindici anni e, rientrando dall’ufficio, ho cercato di figurarmi quand’è che arriva il momento in cui una casa, che quando la compri e la arredi la pensi come l’inizio di una vita, diventa improvvisamente la casa della metà della vita successiva in cui diventa vecchia perché anche tu, nel frattempo, sei diventato vecchio. Quand’è che una casa di una coppia di genitori più o meno giovani diventa la casa di una coppia di nonni o, per lo meno, di gente anziana indipendentemente dal fatto che gli abitanti di quella casa siano genitori più o meno giovani o persone della terza età, non so se mi spiego. Quand’è che si scollina dall’altra parte e inizi a guardare indietro e a scorgere casa tua come quelle case dei vecchi che da bambino evitavi come la peste per l’odore di vecchio di cui erano permeate.

A parte gli elettrodomestici e il loro ciclo di vita proverbialmente decennale, i mobili e i suppellettili che non si guastano o non subiscono le ingiurie di bambini, cani o gatti, quando viene il momento di disfarsene? Anzi, si ha mai il coraggio di disfarsene? Arriva per tutti il giorno in cui decidi di cambiare il letto in cui ti sei coricato per quarant’anni con la tua consorte?

Vedo spesso uno spot dell’Ikea alla tv, da qualche settimana. Gli spot dell’Ikea sono tutti molto belli e in linea con la filosofia Ikea, e questo si intitola proprio “siamo fatti per cambiare”. La filosofia Ikea è anche quella dell’usa e getta a fronte del costo (non per tutti) irrisorio dei suoi prodotti. Compri un divano da duecento euro e poi, quando ti stufi, lo getti via e ne prendi un altro tanto li paghi duecento euro. Un approccio che vale anche per le pentole, le lampade di carta di riso, gli scolapasta, gli Expedit, i bicchieri e tutto il resto. Forse gli svedesi sono meno romantici di noi e l’Ikea l’hanno inventata proprio grazie al loro distacco verso le cose. Qui in Italia fabbrichiamo mobili che costano cento volte tanto e per i quali, di conseguenza, pretendiamo una durata proporzionale al loro prezzo.

Il punto è però che entro in casa mia e mi ritrovo a pensare che qui dove ho abitato con mia moglie e dove è cresciuta mia figlia spero di non avere necessità di cambiare mai nulla. So di essere retrogrado e che la modernità liquida impone, invece, approcci più light al mondo, all’arredamento, alle persone, alla politica, alla vita stessa che è sempre quella di un tempo, quella sì che non cambia mai. La riempiamo sempre di sentimenti e poi finisce che quando scolliniamo dall’altra parte ed è tutto diverso ci attacchiamo a ogni cosa, anche ai mobili di una cucina, pur di far durare la vita il più possibile.

Un pensiero su “siamo fatti per cambiare

  1. Ricordo quell’odore di vecchi (non di vecchio) a casa dei mie nonni quand’ero bambina. Ora annuso la casa dei miei genitori cercando di capire se c’è anche lì. Poi guardo la mia cucina Ikea e scopro che l’ho montata nel 1998… è da vent’anni che non sono più la giovane arredatrice di casa mia

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