camminare come gli egiziani

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Nella classifica stilata dalla rivista britannica di psicologia sociale “Pointer” la percentuale di persone che, parlando al telefono in pubblico da sole, chiudono gli occhi ha superato quelli che guardano in basso, la categoria che era rimasta in vetta per un numero record di settimane superiore persino (una comparazione comprensibile solo dalle nostre parti) alla permanenza al primo posto di “Storie di tutti i giorni” di Riccardo Fogli nell’hit parade italiana del 1982. Livio, che è un compagno di viaggio modello fino a quando non si inventa notizie come questa, voleva solo farmi stare in guardia perché, probabilmente, stavo osservando qualcuno dei passeggeri del treno mentre impartivo con lo smartphone e l’auricolare disposizioni al giovane fornitore che mi ha chiamato in anticipo sull’orario di lavoro, costringendomi a fare lo straordinario in mezzo agli sconosciuti. Livio oggi sfoggia una borsa di tela verde che reca la scritta “Fashion is poetry”. Dentro ha qualcosa per il pranzo che è facile da indovinare perché si è imposto di mangiare solo insalata e cibi magri durante la settimana per poi sbragare con carne alla griglia, pizza e birra solo nel weekend. Una specie di dieta dissociata dal buon senso ma le campane a cui dare retta sono troppe, quando si parla di alimentazione, e ciascuno a suo modo ha ragione da vendere. Mentre risaliamo in superficie dalla stazione mi indica un abbinamento di pendolari del tutto nuovo. L’egiziano è un collega di Adele che, oggi, ha esagerato con le tinte primaverili anche nell’intimo, a quando si vede. A differenza di me e Livio aggiungono il loro passo alla traiettoria della scala mobile aumentando in modo esponenziale la velocità con cui si precipitano in ufficio. La cosa non mi sorprende perché lo faccio spesso anch’io. Lasciarsi trasportare da fermi la trovo un’occasione persa.