la risposta

Standard

L’altra sera mi sono messo con il tablet in mano e Spotify aperto davanti alle casse del mio impianto stereo. Mi sono seduto sulla poltroncina e ho cercato qualche canzone tra le mie preferite per sentire se erano sempre lì, belle come le conoscevo, emozionanti come le ricordavo, pronte a darmi le stesse sensazioni di sempre. Forti, commoventi, pulsanti, distensive, rabbiose, allarmanti. Ogni brano con il suo carattere, diversi tra di loro ma sempre costanti nel loro effetto. Se si potesse unire con una riga a matita ogni pezzo in tutti gli istanti della nostra vita in cui lo abbiamo ascoltato probabilmente tracceremmo una linea retta, parallela alla superficie terrestre. Io me lo immagino così. Mi sono seduto davanti alle casse con il volume più alto del solito perché volevo provare ancora quella bellissima sensazione della musica che ti passa attraverso, avete presente? La musica non ti spettina, non ti schiaccia, non ti investe. La musica ti riempie e poi ti lascia, ti riempie e poi ti lascia. Istante dopo istante, con una velocità che non ti rendi conto tanto che risulta un continuum e il bello di mettersi davanti alle casse e provare la musica che ti passa attraverso è che si percepisce tutto. Uso Spotify perché quando voglio ascoltare pezzi diversi uno dopo l’altro – un po’ come fanno i DJ – assicurare un’esperienza di continuità è impossibile, a meno di non avere – proprio come fanno i DJ – due piatti, un mixer e una di quelle cuffie che vanno bene per il pre-ascolto da un orecchio solo. Io ho una collezione di ellepi in vinile più che dignitosa, ma quanto voglio mettermi davanti alle casse per provare la musica che mi passa attraverso succede che alzarmi per cambiare disco con un piatto solo non giova alla magia del momento. Anche se il supporto che sprigiona l’essenza della musica contribuisce al fenomeno della musica che passa attraverso i corpi. Se mi chiedi dov’è la musica quando non si sente ti dico che è lì, dentro quelle buste quadrate di cartone illustrato, dentro quei cosi neri sottili e pieni di solchi, e ogni solco libera, se sollecitato, una sequenza di suoni che ogni volta mi strega come se fosse la prima. E ogni volta mi chiedo come sia possibile.