quando la tv generalista generalizza

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Una tradizione dell’estate italiana è la RAI che si tinge dei colori della nostalgia, o, meglio, dei non-colori considerando che le tinte in questione vanno dal bianco e nero ai primi esperimenti di modernità sbiadita. Quasi contemporaneamente, intorno all’ora di cena, la tv pubblica ci accerchia con una doppia proposta di cose del passato, trasmettendo “Techetechetè” sul primo canale e “Vox populi” sul terzo. Lo spettacolo per la gente da una parte e lo spettacolo della gente dall’altra: la trasmissione su RaiUno ripropone infatti cantanti, attori, comici e soubrette professionisti, quella su RaiTre persone normali – come dice il titolo stesso – intervistate sugli argomenti più vari.

Facile intuire che i target sono differenti, considerando gli spezzoni di programmi d’epoca riesumati: da una parte i soliti Mina, Ricchi e Poveri, Gino Bramieri e compagnia bella, dall’altra emeriti sconosciuti intercettati per indagini su costume e fenomeni sociali, oppure stralci da trasmissioni più o meno intelligenti messi in sequenza secondo un tema e con una proposta per decennio di appartenenza. Inutile dire che io propendo per questo format, anche se ieri sera, su “Techetechetè”, ho visto una sfilza di complessi italiani dal beat ai Lunapop, passando per PFM, Banco e Nomadi. Potrei lasciarmi andare a una delle solite critiche sui grandi assenti che avrebbero dovuto essere citati (il programma dura comunque una buona mezz’ora) ma, trattandosi di un’eccezione, vorrei portare la vostra attenzione su “Vox Populi” perché, a distanza di pochi episodi, si è parlato ben due volte di punk in Italia.

La prima occasione è stata all’interno di una puntata sulla trasgressione, almeno io l’ho intesa così. Dei punk di fine anni settanta hanno riproposto il gruppo di quindicenni truccati e conciati come Anna Oxa a Sanremo, quindi un aspetto piuttosto light e di costume: ragazzini delle medie eccentrici presentati come gioventù annoiata alla ricerca di qualcosa di nuovo. Il registro è cambiato con il decennio successivo, in cui sono stati confusi i punk con i punkabbestia che, ricordiamolo, in confronto a loro i cosiddetti barboni sono baronetti della regina, per non parlare del punk degli anni 90 rappresentato da un ex tossicodipendente poi redento e restituito alla società produttiva. Spero che negli archivi RAI ci siano contenuti un po’ più autorevoli da rintracciare per esporre un tema così complesso. Capisco che la tv è generalista, ma le generalizzazioni sono l’anticamera dell’ignoranza e della confusione. Il secondo episodio di “Vox Populi” a cui mi riferisco è andato in onda ieri. Ancora a fine anni 70, un fotografo truccava e vestiva due modelle da punk per delle foto di moda, quindi un fenomeno popolare che diventa un pretesto commerciale per comunicare a un pubblico ben preciso.

Insomma, sono rimasto un po’ deluso da tutto questo pressapochismo. Il punk in Italia è stato anche molto altro, sia ai tempi in cui si è diffuso tra i giovani (probabilmente all’inizio del ceto medio-alto) sia quando è tornato in auge nel corso dei decenni successivi, anche in forme diverse. In ogni caso, credo che il lavoro più bello del mondo sia quello di mettere mano agli archivi RAI e rivedere tutto quello che c’è. Anzi, vi giuro che pagherei pure per poterlo fare.