dolce finta casa

Standard

Nei mesi in cui il turismo di massa tradizionalmente esplode, che poi sono questi che stiamo vivendo madidi di sudore, si accentua il dibattito su Airbnb e le forme di economia parallela (se non sommersa) legata alle esperienze di vacanza del genere umano. C’è un ricco articolo su Internazionale che parla di questo e non ho nulla da aggiungere al dibattito perché saprete meglio di me come funziona. Come in tutte le forme di sharing economy istituzionalizzate da piattaforme gestite da terzi, e non basate sull’iniziativa dei singoli, ci sono diversi soggetti che traggono profitto non controllato e chi invece sta dall’altra parte dell’economia, quella regolamentata e sottoposta ai tributi, subisce immeritate penalizzazioni e si sente, giustamente, raggirato due volte.

Questo perché il motore dell’Internet va a una velocità doppia rispetto alle cose come le conoscevamo quando siamo nati e abbiamo studiato. Pensate, oltre all’economia, quanto scuola, musica e arte in genere, giusto per citare le prime cose che mi vengono in mente, non sono ancora riuscite a tenere il passo della digital transformation e, rimanendo indietro, sembrano tutt’altro che sincronizzate con quello che sta succedendo.

Ma veniamo a noi. Scrivo queste considerazioni seduto su un divano di un appartamento di Kreuzberg preso per qualche giorno proprio grazie ad Airbnb. Non so quanto abbia risparmiato rispetto a una struttura ricettiva vera e propria, non credo molto. Il fatto è che a me gli alberghi deprimono e quando sono in ferie preferisco essere su di morale, proprio come voi.

Che poi, questa casa mordi e fuggi, serve solo per dormire, fare colazione, lavarsi e ripartire per visitare Berlino come se non ci fosse un domani. Però mi ripropone una dimensione in cui so muovermi con dimestichezza: cucina, bagno, soggiorno, camere da letto. Lavastoviglie, microonde, quadri sulle pareti, libreria, impianto stereo. Ambienti che, anche se disposti e arredati diversamente, posso ricondurre a uno schema consolidato in cui vivo e che occupo con facilità, al riparo da un gap emotivo che mi porterebbe anni luce distante dalla quotidianità già messa a repentaglio dal fatto di essere in vacanza, quindi da tempi, luoghi e comportamenti agli antipodi di quelli che le convenzioni sociali ci hanno imposto. Qui, nelle case di sconosciuti stranieri, siamo noi stessi in una veste presa a noleggio per un gioco di ruolo che scardina le dinamiche tradizionali del turismo, se non della vita stessa. Come sarebbe se dovessimo vivere in questo quartiere? Riusciremmo a sopravvivere?