promiscuità

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Il Bring your own device era una teoria in auge qualche anni fa con cui, in parole povere, si cercava di convincere la gente a usare i propri dispositivi personali sul posto di lavoro. Ne conseguiva che le aziende potevano risparmiare evitando di comprare alcuni strumenti digitali ai dipendenti in cambio di cose come la liberalizzazione dell’uso di Facebook in orario di ufficio, anche se questo lo facevamo già tutti indipendentemente dal device utilizzato. A quella di far passare come concessione moderna una pratica da poveracci ci siamo cascati più o meno tutti.

Oggi, in senso traslato, potrebbe rientrare in questa casistica la bici con cui i rider ci portano a casa il pranzo e la cena. Questo è un caso ancora più estremo perché se sei povero e ti puoi permettere solo un catorcio arrugginito arrivi a fine giornata spaccato dalla fatica il doppio del normale. La tematica non è delle più semplici.

Nella mia esperienza ho provato una di queste promiscuità tra vita professionale e vita privata solo sui social. Sarà capitato anche a voi di far parte di community virtuali di lavoro con i vostri profili privati. Se andate sul mio account di LinkedIn o su Facebook troverete un collegamento che richiama all’agenzia in cui ho lavorato sino all’altro ieri. Per mia fortuna non ho mai usato Whatsapp in ambiente professionale.

Qui, dove lavoro ora, sembra invece che Whatsapp sia uno dei principali mezzi di comunicazione. Avete presente i gruppi, vero? Ieri mi hanno aggiunto a quello che dovrebbe essere il primo gruppo WhatsApp di una lunga serie. Sono andato a spulciare nelle info del gruppo i colleghi di cui ne fanno parte e mi sono accorto che sono l’unico ad avere una foto filtrata con Instagram e uno status che non c’entra niente con quello che dovrò fare. La frase è un motto che mi sono inventato anni fa, un gioco di parole che dice “give synth a chance”. Ho pensato che cosa possano aver pensato i colleghi, tutti ligi a un più misurato “hey there! i am using WhatsApp”.

La stessa cosa è capitata stamattina. Mi hanno attivato l’accesso a un’area riservata del sito sviluppato in WordPress e, la persona che fino ad ora ha gestito il sito, si è sorpresa del mio gravatar, la copertina di “Jeopardy” dei Sound, non tanto per la copertina in sé quanto perché risulto l’unico ad avere un gravatar WordPress. Mi sono chiesto quindi quante siano le cose del mio passato di cui dovrei sbarazzarmi prima che la promiscuità tra professionale e privato mi faccia perdere credibilità. Forse anche questo blog è a rischio. Aiutatemi a mantenere l’anonimato.

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