foto di gruppo

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La prima volta in cui ho iniziato a dubitare della loro efficacia e di quanto poco verosimilmente riuscissero a trasmettere l’anima di una band è stata quando, in un’unica pubblicazione che celebrava il rock locale, ero presente in tre profili dedicati ad altrettanti gruppi in cui militavo simultaneamente. Un musicista che si dà da fare in tre situazioni artistiche e, soprattutto, in tutti i casi presta la sua faccia a provarne la serietà non è assolutamente credibile, tradisce un approccio tutt’altro che ammesso dall’etica del rock e agisce del tutto oltre i parametri della lealtà che lega nel profondo i paladini delle sette note (che poi sono dodici e anzi, qualcuno dice che prendendo in considerazione il comma addirittura infinite). Trovare foto non dico fatte ad arte ma almeno decenti di complessi musicali emergenti, quindi non in grado di pagare professionisti per documentare la loro genuina anima posseduta dal rock, è pressoché impossibile. Le facce da duri, gli sfondi con le macerie, gli stabilimenti desueti, l’archeologia industriale e quanto di più deprimente possa venire in mente per rappresentare il disagio urbano o dell’hinterland collaterale sono temi più che ricorrenti nell’iconografia dei giovani che prendono sul serio la loro musica e sposano la causa del successo. Sorridere in questo genere di immagini promozionali è fuori discussione. Vietato l’abbigliamento non consono alla cattiveria delle intenzioni. Ammessi invece monumenti o architetture riconoscibili sullo sfondo in grado di connotare il background sociale di appartenenza. Oggi questo succede spesso con gli artisti trap e rap esordienti, che non mancano di registrare in completa autarchia il loro primo video nel quartiere malfamato in cui hanno mosso i primi passi nel mondo della tamarraggine. Un tempo si tendeva a lasciarsi fotografare con cappotti, impermeabili e cappelli in esterno, ma c’era ben altra attenzione al look e allo stile. Altrettanto diffusa l’abitudine delle foto in campagna, nei boschi più fitti, sdraiati sul prato o in riva al fiume. I più temerari si fanno le foto al cimitero, un genere che spopola tra i metallari e o gruppi più gotici. Un classico è anche la foto in sala prove, davanti al portellone del box in cui ci si esercita con enormi sacrifici per il successo di pubblico, oppure con l’espressione rigorosamente incazzosa e le spalle al muro ricoperto di cartone per le uova, che la leggenda metropolitana impone come materiale fonoassorbente più in voga tra chi vive la scarsità dei fondi di autofinanziamento. A fare le foto solitamente la fidanzata di uno del gruppo, che poi immancabilmente si mette con un altro (solitamente il cantante) per cui il gruppo si scioglie e delle foto promozionali non se ne fa più nulla.

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