undici sono già troppi

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Con la sua solita estetica stucchevole – un mix di cineserie in una cornice da propaganda di regime – Facebook mi ha appena ricordato che sono iscritto al monumentale social di Zuckercoso-là da undici anni. Un numero ragguardevole. In undici anni un bimbo nasce e cresce di un bel pezzo di vita. SI proietta dalla culla alla prima media, per dire. E anche nella vita di un adulto passa un bel po’ di acqua sotto i ponti. Ricordo bene lo spirito con cui avevo aggiunto Facebook alla mia collezione di must have digitali. C’era Myspace che andava per la maggiore, soprattutto per gente come me intenta a divulgare la propria velleità musicale, e il social network delle università americane – benché già se ne parlasse come prossima frontiera dell’Internet – risultava una sorta di scientology virtuale dalla scarsa utilità. Eravamo in quattro gatti, in Italia, a utilizzarlo, e l’interfaccia stessa lasciava piuttosto a desiderare. Poi, all’improvviso, i numeri degli iscritti sono diventati impressionanti. Ogni giorno era sempre più facile trovare persone che si conoscessero: colleghi, parenti, compagni di classe del liceo, vip e personaggi pubblici. A quel punto, come un nuovo continente appena scoperto alla mercé dei conquistadores, ecco che Facebook si profilava sempre di più come un mondo a sé, all’interno del mondo vero e proprio.

Undici anni, già. Vista l’attenzione con cui è stata data enfasi a questa ricorrenza – non ricordo che lo scorso anno allo scadere della cifra tonda Facebook mi abbia in qualche modo organizzato alcuna festa – ho accettato così di schiacciare play sul video che Zuckercoso sembra aver preparato apposta per me. La solita pacchianata, con due o tre foto prese a cazzo tra quelle che ho caricato recentemente, con un criterio pericoloso per un sistema che mischia indiscriminatamente ricordi belli e brutti, e l’avatar con il mio faccione inserito in un tondo che ricorda una di quelle spillette che si attaccavano allo zaino della scuola o al bavero del parka. La mia faccia che vaga in quell’ambiente digitale creato per essere uguale per tutti, dai toni sfarzosi e per questo illusori, nell’ingenuo tentativo di farmi credere che Facebook sia una sorta di paradiso dei buoni sentimenti, una società nella società, cosa che probabilmente è proprio così e che mi rende ancora più consapevole del tempo che ho buttato via su quel pianeta a scapito di questo in cui sono nato, lungo tutti questi undici anni.

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