l’arte di abbinare la musica al cibo d’asporto

Standard

In famiglia si ascolta dance, tra i teen la trap, nei convivi improvvisati tra i single trentenni dalla vita precaria l’indie italiano mentre le ragazze, quando sono da sole e ordinano cibo d’asporto, ascoltano pop dozzinale. Quelli di Just Eat, che se non li conoscete sono la versione millennials del ragazzo del pony express, hanno le idee ben chiare sulla categorizzazione e gli abbinamenti tra i target e la musica che si meritano. D’altronde l’industrializzazione, che oggi è il modello di business che va per la maggiore anche nelle consegne a domicilio di vivande, deve attenersi agli standard. Lasciare le maglie aperte alla customizzazione porterebbe al tracollo. Pensate infatti se gli adolescenti preferissero l’heavy metal, le giovani coppie con figli si dilettassero con i Weather Report, se tra i coinquilini bamboccioni spopolassero i gruppi post-punk e se la solitudine portasse le giovani donne a immergersi nelle composizioni minimaliste di Steve Reich. Una confusione che non consentirebbe menu come si deve e modalità innovative per far incontrare domanda e offerta. Senza pensare che alla gente fuori dai canoni passa l’appetito, o anzi magari rompere gli schemi induce a cucinare qualcosa. Ma ai tempi degli chef stellati la grande dicotomia è proprio tra mettersi ai fornelli e sfondarsi al primo all-you-can-eat di qualcosa. Darci dentro con le ricette o con la carta prepagata. Sperimentare sapori o soccombere al marketing enogastronico.

Il problema però è che la modernità induce alla fretta e così i ciclo-corrieri della fame (altrui, che cosa avete capito) possono mettere da parte qualcosa per il futuro cercando di non servire pasti freddi come il jazz che piace agli anziani come me che, guarda caso, negli spot non hanno nessuno che li rappresenti. Mi ci vedo in casa con quel disco del Jimmy Giuffre Trio (Paul Bley al piano e Steve Swallow al basso, oltre al clarino di Giuffre) ristampato su cd dall’ECM, mia moglie che cerca di farmi cambiare musica perché vorrebbe qualcosa di meno cerebrale e io che scorro le proposte sull’app del mio ristorante preferito (cucina piemontese, ça va sans dire) mentre le telecamere ci riprendono sperando che due matusa come noi riescano a portare a termine l’ordine in tempi utili per uno spot commerciale. Ma poi gli occhiali che non si trovano, i gatti che saltano in braccio, la scelta troppo ampia, alla fine anche la pazienza dei creativi delle réclame per la tv ha un limite e così finisce che la troupe sceglie i vicini di casa, una coppia di settantenni che da ottobre a marzo preparano la cassoeula ogni fine settimana impestando il condominio di odore di verza. Che comunque, se Just Eat me la porta, non gli dico certo di no.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.