troppo poco spazio

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Quando puntiamo gli occhi fissi nel cielo a guardare una stella, quella è la cosa che più si avvicina alla formula dell’infinito che abbiamo a disposizione. Probabilmente ogni essere umano ma persino ogni creatura vivente sulla terra da quando la terra ne ospita di ogni foggia, a partire dai poeti, levando lo sguardo in alto o anche qualunque tipo di recettore sensoriale, avrà pensato così a qualche analogia tra tutto quel buio ignoto e puntinato di luce che è l’universo e la risposta alle grandi domande, quelle che ci vengono in mente quando non riusciamo a dormire. Lo spazio è proprio quel bianco che sta intorno alla storia delle nostre vite scritte dove appuntiamo le note a margine e poi oltre il margine chissà, perché mica ci riusciamo a spingerci così al di là di ciò che sappiamo vedere. Così facciamo un mistone tra pianeti e satelliti e il nostro passato ma anche il nostro futuro, e avrete anche voi qualche idea sul modo in cui popolare questo macrocosmo che c’è là fuori nel caso qualcuno ve lo chiedesse. Vedo orbitare mio papà sdraiato sul letto di ospedale tenuto in qualche modo con le cinghie e con quel respiro che non ha mollato di un bpm fino alla fine come una macchina da ritmo elettronica, una specie di astronauta senza equipaggiamento che vaga senza nessuna destinazione se non quella che consente la fantasia. Ma ci trovo anche mia nipote vestita da pilota visto che dopo il liceo vuol tentare l’accademia aeronautica e magari, tra qualche anno, quello che abbiamo raccontato nei film di fantascienza sarà una prassi. Ci sono anche certe foto con quelle animazioni stucchevoli che fa Facebook quando vuole coinvolgerci nei suoi esperimenti di emotività digitale, avete presente? Roberto sei troppo importante per noi – ti dicono – abbiamo pensato che rivedere le cose che hai postato nel 2018 potrebbe farti piacere. C’è però una bella differenza tra l’Internet e quell’infinito che si vede di notte. Intanto c’è l’aria fredda da respirare se ti metti sul balcone a immaginare questo minestrone di parole, una sensazione di vita che dal computer proprio non si sprigiona nemmeno a mettere il naso a pochi millimetri dal monitor. Poi nulla restituisce quella sensazione del risveglio, quando ti riappropri di tutto quel che hai e che il sonno ti ha strappato facendoti proiettare sotto le sue coltri tentacolari, come lasciare un segnale a monito di qualcosa che avresti voluto appuntarti da scrivere ma non avevi la forza di levarti per farlo ma che, accesa l’abat-jour, ritrovi dove l’hai messo. Per questo esistono le sortite notturne improvvise. Un rumore o un gatto che ci desta ancora distanti dal mattino del giorno a venire e un modo efficace per segnarsi tutto prima che il sonno ci riprenda con sé.

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