lo scemo del villaggio

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La campagna pubblicitaria “I villaggi nel mondo più italiani del mondo”, con il relativo spot televisivo di Veratour, comporta due chiavi di lettura. La seconda, che forse è la meno controproducente, punta sulla teoria secondo la quale gli italiani lo fanno meglio, qui riferito a quasi tutto: le mamme, la cucina, l’accoglienza, il calcio, uno storytelling in cui in Italia fortunatamente non ci casca più nessuno ma, nonostante ciò, si trova declinato nella maggior parte della comunicazione istituzionale e politica. Non a caso va a votare una percentuale ridicola degli aventi diritto e, se l’astensionismo è alle (cinque) stelle, quelli che insistono su registri come questi dovrebbero farsi qualche domanda. La grande bellezza, il made in Italy e il mascalzone latino sono finiti da un pezzo.

La prima, molto più vistosa e raccapricciante, fa riflettere sotto un altro aspetto e conferma un luogo comune a cui nessuno ha mai confessato di credere ma che, a quanto pare, vive e lotta insieme a noi e riguarda l’utenza dei villaggi turistici. Perché mai, pagando profumatamente per una vacanza fuori dai confini nazionali, dovrei cercare l’Italia anche all’estero, che già ne abbiamo i coglioni pieni qui? Immaginate che tristezza: parlare italiano dove tutti parlano almeno l’inglese, impiegare il tempo in vacanza giocando a calcetto come se fosse un sabato mattina qualunque con gli amici a Milano, in uno dei tanti club sportivi di periferia, trovare gli stessi accenti settentrionali o meridionali nel personale di servizio che ti fa l’occhietto come a dire “solo da noi si mangia così” presentandoti una cacio e pepe o la pizza (premesso che sono i miei piatti preferiti) mentre tutto intorno è un tripudio di chissà quali specialità del posto. L’approccio all’esportazione di questo sovranismo culturale e turistico, unito alla scarsa curiosità (sinonimo di carenza di desiderio di apprendere) verso le cose diverse dal quotidiano, con quel pizzico di presunzione di aver capito tutto della vita e l’idea che, a furia di programmi sul cibo, nel mondo abbia più valore un impiattamento piuttosto che il rispetto del prossimo, è un chiaro specchio della miseria sociale in cui ci siamo ridotti.

C’è bisogno di portarsi dietro anche il contesto, oltreché noi stessi, per visitare altri posti? Pensate invece come stona l’Italia sulle coste africane, ma anche nell’urbanistica delle città del nord Europa, in Patagonia, persino a Cuba, con il profumo della lavanda in Provenza, per non parlare dei colori che si trovano nei paesi arabi. La descrizione del video dice “Sarebbe bello trovare tutto il meglio dell’Italia anche in vacanza. Nei nostri villaggi Veraclub puoi: è come sentirsi a casa!”. Ecco: allora, piuttosto, me ne sto davvero a casa e continuo a guardare il mondo su Google Earth, per lo meno è gratis.

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