elogio della lentezza

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Il fatto che non appartenga alla generazione delle serie tv lo si evince in quanto non arrivo mai a metà del primo episodio ma mi addormento prima, solitamente sulle sigle che, nelle serie tv, non si capisce perché siano posizionate a metà episodio e non, come si dovrebbe, all’inizio della puntata. Le sigle delle serie tv tipo Netflix, per capirci, sono fighissime e hanno musiche indie-rock o alternative-country o persino vaporwave. Ma spesso non riesco nemmeno a cogliere tutta questa differenza di genere perché mi sono già appisolato. Mi sveglio poi a episodio inoltrato quanto parte a tutto volume una canzone anni ottanta. Nelle serie tv tipo Netflix ci sono sempre canzoni anni ottanta, brani più o meno conosciuti ma tutti in grado di strapparmi alla profondità del sonno per riportarmi in superficie perché risvegliano la mia adolescenza mai sopita. Sento la canzone anni ottanta, strabuzzo gli occhi e vedo gente che limona, o che balla, o che fa qualcosa da sola pensando a qualcuno che non c’è. Vedo cose degli anni ottanta alla tele anche se la serie si svolge nel quattromilaventotto oppure nel presente distopico oppure in una ucronia ambientata nell’85. I Clash, gli A-Ha, Nick Kamen, i Joy Division, le Salt-n-pepa, non importa. La canzone anni ottanta mi sveglia e mi conferma che le serie tipo Netflix sono tutte uguali, quindi torno a coricarmi e metto su Rai5 nella speranza di trovare un documentario e riprendere il sonno da dove l’avevo lasciato.

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