la paura del vuoto

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Lo scorso lunedì pomeriggio ho collegato il mio smartphone agli speaker della LIM della mia classe. Mancava un’ora alla regolare libera uscita dopo la consueta riunione di programmazione didattica che, trattandosi dell’ultima settimana, è durata molto poco. Avevo qualche scartoffia da compilare così mi sono messo al pc in dotazione della mia aula. Finestre spalancate per il clima estivo, pale sul soffitto al massimo della potenza, disco dei National diffuso nell’ambiente e nessuno in giro. Non mi sentivo, però, rilassato. Se vi trovate da soli in un’ala di una scuola deserta non potrete non cogliere il contrasto con lo stesso posto nel pieno dell’attività. Ragazzini che non stanno più fermi, odori della crescita, ogni tipo di rumore di sottofondo, tensione alle stelle, atmosfera rovente per la densità di esseri umani in uno spazio inadatto alla stagione. Mi sono sentito così terrorizzato dal vuoto e mi sono chiesto cosa sarebbe accaduto il primo giorno dopo l’ultimo giorno. L’insegnante non può più esercitare il proprio controllo, pretendere che tutti stiano al loro posto, che ci sia il silenzio necessario alla concentrazione, che ogni alunno abbia con sé la dotazione necessaria per integrarsi nel contesto della lezione, che non ci siano cartacce per terra, che ognuno sia già andato in bagno in modo da non dover interrompere una spiegazione nel momento più importante. Tutto questo perché il primo giorno dopo l’ultimo giorno non c’è più nessuno. La scuola vuota è un non-luogo, e i mesi tra un ciclo e quello successivo sono un non-tempo, passatemi il termine. Nessuno deve vivere per il lavoro, ma la vita è basata sui ritmi imposti dalla attività che svolgiamo. Quando lavoravo in agenzia, giugno e luglio erano mesi insostenibili tanto era la quantità di impegni. Arrivavo al primo giorno di ferie talmente sopra le righe che poi mi ci volevano giorni per smaltire l’adrenalina dell’iperattività in ufficio. Ora davanti ho un sacco di tempo, ho già pronte un sacco di cose da fare, sarò pagato lo stesso ma non sarà la stessa cosa perché sarò solo una parte di qualcosa di cui faccio parte e che ora è temporaneamente fuori servizio. Mi ci devo abituare.

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