suoni meglio tu

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Nella busta numero uno c’era scritto solo “Magnano” e ci abbiamo messo troppo tempo a indovinare, tanto che abbiamo perso la manche e, di conseguenza, la partita. A nulla è servito guglare il nome perché la risposta, manco a dirlo, era dentro di noi. Magnano era lo studente preferito del nostro insegnante di pianoforte, un borghesotto dei quartieri bene che si presentava a lezione con il ciuffo biondo e il dolcevita scuro. Preparava il quinto e portava il nostro stesso pezzo, un improvviso di Schubert molto d’effetto, che suonava decisamente con maggior fluidità e soprattutto un’interpretazione senza confronti. Magnano aveva riso della nostra idea di organizzare una specie di concertino in casa, una volta passato l’esame a luglio. Un’esibizione esclusiva per parenti e amici in salotto, dove era posizionato il Petrof verticale, come avevamo visto fare in un film solo che quello era ambientato negli anni venti mentre noi facevamo le scale dell’Hanon nel 1978. Sognavamo di presentare la sonata in Fa di Mozart o le invenzioni a tre voci di Bach voltandoci dallo sgabello, compiacendoci di zia Ida seduta in prima fila e della nonna che avrebbe preferito sentire suo marito, il nonno morto nel 72, suonare una mazurca con la fisa. La differenza era nel fatto che la famiglia di Magnano aveva quel negozio di arredamento informale. Molti anni dopo avevamo comprato lì una sdraio rossa per il compleanno di Alessandra. L’avevamo incartata con un foglio coloratissimo ma molto più piccolo e il bello era proprio in quello: metà sdraio era rimasta fuori e si capiva subito che cosa contenesse il pacco. Alessandra e sua madre Teresa avevano riso dal terrazzo mentre la scaricavamo dall’A112. A Natale invece le avevamo regalato delle tempere con pennelli, tela e cavalletto. Era un periodo che la riempivamo di attenzioni e dedicavamo molta fantasia a questi aspetti collaterali del nostro rapporto. Non saprei, e non lo sa nemmeno Magnano, cosa è successo, quando abbiamo iniziato a fare scelte più ordinarie, a profondere molto meno impegno nello stupire le persone. Nemmeno l’improvviso di Schubert ci è mai riuscito senza almeno una sbavatura sino alla nota finale. Nella busta numero due c’era invece scritto “1235643” che era il nostro numero di matricola all’università.

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