scuola alimentare

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Nella mia storia (avevo scritto carriera ma ho subito cancellato) professionale ho avuto a disposizione dei distributori automatici solo da quando faccio l’insegnante. Nel settore della comunicazione e nelle multinazionali, ambienti lavorativi che ho frequentato prima, si preferiscono le cose fighe come le brocche di succo bio o, nei casi più estremi, l’estrattore accompagnato da ceste di frutta fresca (sempre bio o, per le eccellenze del territorio, a km zero) con la menata della responsabilità di pulirlo dopo l’uso a meno che non ci pensino quelli dell’impresa di pulizie a fine giornata. Questo perché negli uffici del settore della comunicazione e nelle multinazionali ci sono le cucine con lavandino, frigo e lavapiatti. Ci sono poi le macchinette per il caffè americano o tutta la gamma di sistemi automatici Nespresso e cloni vari. Le cialde talvolta sono gratuite e altre sono a pagamento. C’è il microonde dove i dipendenti si scaldano la schiscetta che si portano da casa e spazi dove i colleghi possono esercitare la convivialità richiesta. Nell’agenzia in cui lavoravo sino allo scorso anno arrivavano addirittura pellet interi di bottigliette d’acqua di cui potevamo approvvigionarci senza detrazioni dallo stipendio. Quando le cose andavano meglio c’erano persino bibite e succhi confezionati, un modello che però, con il tempo, non si è rivelato sostenibile economicamente.

La scuola, invece, somiglia di più agli ospedali e alle fabbriche dove, per questioni organizzative, i dipendenti fanno spuntini con i distributori automatici tradizionali. Da un parte tutta la gamma dei prodotti caldi in polvere – da caffè e cioccolata alla suggestiva bevanda bianca al gusto di latte – e dall’altra articoli dolci e salati e acqua e lattine di coca, aranciata e tè freddo. I costi sono nettamente inferiori al bar, giustamente proporzionati alla qualità dei prodotti, e ci si può servire con le monete – ma rinunciando al resto – o con una chiavetta da acquistare in comodato d’uso dal fornitore al costo di cinque euro. Come la maggior parte dei colleghi, ho aggiunto la chiavetta al mazzo di chiavi di casa ed è già successo più di una volta che qualcuno mi rincorresse per la scuola per restituirmele.

Faccio un break per mangiare qualcosa a metà mattinata, in genere prendo una o due confezioni di taralli perché preferisco il salato. A volte mi permetto i Canestrellini Grondona che sono una specialità genovese ma attenzione perché si tratta di burro allo stato puro. Il caffè è pessimo come è giusto che sia nei distributori automatici. Io lo trovo piuttosto forte ed è per questo che prendo solo il decaffeinato che ha la consistenza e il sapore della malta. Sono convinto che il modello dei distributori automatici sia stato scelto da esperti in psicologia sociale perché favorisce la cordialità tra persone che lavorano insieme in quanto sono tutti pronti, con il saldo della chiavetta infilata dentro ben visibile al display, a offrirti qualcosa se ti trovi lì nei paraggi con loro.

La pratica migliore è comunque portarsi qualcosa da casa. Il problema è ricordarsene. Compro le barrette Kellogg’s e vari sostituti del pane al supermercato ma poi finisce che li mangio a casa perché dimentico di portarli al lavoro. Lo scorso anno addirittura avevo iniziato a farmi borracce intere di acqua e limone o menta per dissetarmi durante le lezioni ma non è durata più di una settimana.

Ci sono giorni in cui ho dei buchi tra una lezione e l’altra e, se non ho da fare, mi metto qui in sala docenti, mi prendo un deca e qualcosa da mangiare, accendo il portatile e mi metto a scrivere post come questi perché la trovo un’abitudine molto romantica. Nel frattempo dai corridoi le maestre alzano la voce, si sentono i bambini intervenire senza alzare la mano, qualcuno fa capolino e mi fa un cenno con la testa per farmi capire che non mi disturberà perché, con il computer davanti, sembro uno che sta lavorando davvero.

Un pensiero su “scuola alimentare

  1. è molto istruttivo ‘sto fatto che uno molla la comunicazione e le multinazionali (e la musica) e si butta a fare il maestro. vorrei andare a dirlo a quelli di invece concita che mollano tutto e aprono un bar in myanmar – ma mi vergogno.

    (ah, vorrei spezzare una lancia: il caffè delle macchinette non è così cattivo come dici te)

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