il ginocchio da te

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Silvia e Paolo si sono conosciuti sul mio profilo Facebook. Non mi ricordo il post di preciso che si sono messi a commentare entrambi. Sicuramente si parlava di musica. Paolo mi aveva contattato per suonare nel suo gruppo. Avevano appena pubblicato il primo disco e stavano preparando il live. Non avevo mai fatto un provino vero e proprio, prima di allora. Le band mi chiedevano collaborazioni perché conoscevano le mie qualità. Paolo era arrivato a me tramite passaparola ma non mi aveva mai sentito dal vivo. Il provino però non era andato bene. A loro serviva un tastierista più versatile, mentre io (a quasi quarantanni) ormai ero schiavo del mio stile tutto basato su sintetizzatori d’epoca, zero tappeti ed elaboratissimi campionamenti che rendevano indispensabile l’uso del clic.

Malgrado l’esito negativo avevo però mantenuto rapporti con Paolo perché rimaneva, a tutti gli effetti, l’unico contatto con l’ambiente musicale professionistico. Da ipocrita pensavo potesse tornarmi comodo, in futuro. Ma non era solo per quello. Invidiavo mia moglie e il suo modo di coltivare le relazioni con le persone. Anche se non era poco che vivevo a Milano, a parte i colleghi e gli amici acquisiti dopo il matrimonio non conoscevo nessuno con cui fare quattro chiacchiere davanti a un bicchiere. Così con Paolo avevamo preso a frequentarci. Ci facevamo un paio di birre una volta ogni tanto. Il fatto è che, mese dopo mese, il suo progetto musicale, quello per cui ero stato scartato, ancora non era decollato. Colpa del mercato italiano, pensavo. Comunque non mi sottraevo a manifestazioni di apprezzamento per il suo lavoro perché vedevo quanto fosse soddisfatto dall’essere adulato. Forse mi spingevo fin troppo oltre. Adesso so per certo che non mi comporterei più così con nessuno. Il fatto è che mi piace troppo compiacere il prossimo, nel bene e nel male.

Non so se sia stato Paolo a iniziare a flirtare con Silvia o viceversa lungo una discussione su Facebook che, ai tempi, era un social network per addetti ai lavori e di italiani eravamo quattro gatti. Da lì la conversazione si dev’essere spostata su un canale privato, tanto che pochi giorni dopo Silvia è venuta a chiedermi che tipo fosse Paolo. Ho rilasciato la mia versione pubblica e non ho lesinato le lodi. Silvia mi voleva bene e si fidava, per questo il suo risentimento nei miei confronti a seguito della pessima esperienza con Paolo è stato forte e ha rischiato di interrompere la nostra amicizia. Le ho promesso così che avrei cambiato l’opinione su di lui cercando addirittura di chiudere i rapporti, sempre per la mia predisposizione ad appagare chiunque me lo chieda.

Silvia aveva la passione per la fotografia. Questo lo diceva lei. Per farmi perdonare la storia di Paolo le avevo allora procurato un biglietto omaggio a un concerto che aveva organizzato mia moglie. Si è presentata ai cancelli con tutto il suo equipaggiamento e, una volta dentro, ci ha proposto di farci una foto che, ancora oggi, campeggia sul frigorifero in cucina, assicurata da due magneti. Mia moglie ed io abbracciati e, nell’angolo in basso a sinistra, il mio ginocchio peloso. Ci eravamo messi in posa sui gradoni dell’anfiteatro all’aperto in cui si svolgeva la manifestazione e io, per avvicinarmi a mia moglie, avevo appoggiato il piede sul sedile che occupavo, alzando il ginocchio all’altezza del mento. Io non sono un fotografo, ma quando voglio immortalare qualcosa o qualcuno mi assicuro che non ci sia altro oltre al soggetto che voglio riprendere. Persone sullo sfondo, particolari che entrano in campo anche per poco, dettagli che possano rovinare lo scatto. Lei non si dev’essere accorta del ginocchio, oppure non ha ritenuto potesse rovinare la scena. Quando Silvia mi ha recapitato la foto sono così rimasto sorpreso per la presenza di quel terzo incomodo. Mia moglie, io, il mio ginocchio peloso, che da allora considero un po’ il figlio maschio che non ho mai avuto.

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