a questo punto se ne riparla a settembre – day #24

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Trascorro così tante ore al computer che la gatta ha inventato un modo per stare in braccio e appoggiarsi con le zampe anteriori al mio polso sinistro, come se fosse affacciata a un davanzale, lasciando le zampe posteriori sulle mie cosce, mentre scrivo sulla tastiera. Quando facevo il copywriter, prima della mia nuova vita da insegnante, ero arrivato al limite della sopportazione delle otto ore in ufficio, seduto davanti al PC. Verso le tre del pomeriggio la pressione mi saliva alle stelle, malgrado la pastiglia contro l’ipertensione che assumo da anni ogni mattina. Avevo ricondotto la causa all’immobilità, alla frustrazione di un dispositivo lentissimo, al dover dimostrarmi creativo nonostante la piattezza della routine professionale, al fatto di essere in sei persone con otto computer accesi in una stanza, alla vicina di scrivania che si scaccolava e faceva le call in viva voce senza nemmeno porsi il problema di spostare se stessa e il suo portatile e di sfruttare gli spazi per le riunioni di cui l’agenzia era provvista. Non a caso, da quando faccio l’insegnante, che invece è il lavoro più vario del mondo, non ho mai più avuto problemi di questo tipo. Nelle ultime settimane, però, il mio ruolo di super amministratore della piattaforma didattica della scuola (Google Suite for Education, la piattaforma che come la Settimana Enigmistica vanta innumerevoli tentativi di imitazione!) mi impone di non staccarmi da qui. In più, il computer mi permette di preparare le lezioni, scrivo sul mio blog, faccio qualche lavoretto extra di redazione testi, tengo i contatti con gli amici sui social. Insomma, per farla breve, l’altra sera – dopo giorni e giorni di lavoro – mi sono sentito provato e fiacco come allora.

Senza contare che non posso nemmeno più uscire per correre: anche se attraverso aree poco frequentate, sarei comunque di cattivo esempio. Faccio attività fisica in casa. Il mio coach di circuit training manda le schede e i video-tutorial sul gruppo Whatsapp e, a giorni alterni, stendo il tappetino in sala e mi ci dedico. Devo far attenzione allo skip sul posto, non credo che il mio vicino di sotto sia contento. Mia figlia, come tutti gli studenti delle superiori, si sente invece ormai smarrita. Priva delle relazioni con gli amici, degli impegni scolastici tradizionali e della scansione del tempo propria dei ragazzi, sembra un astronauta che vaga con il suo scafandro anti-contagio nello spazio della sospensione della vita. Mi chiedo, da un punto di vista psicologico, quali conseguenze questa catastrofe comporterà ai più giovani. Stamattina però ho tolto le tende dalle finestre per metterle in lavatrice, una botta di vita che mi ha entusiasmato. Ho persino pensato di rispolverare l’unico sintetizzatore che mi è rimasto, il mio piccolo caro Microkorg. Lo avevo messo in cantina, inscatolato e fasciato, con un biglietto: da aprire solo in caso di emergenza.

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