il ritorno della musica della pasta barilla – day #43

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La sicurezza degli anni 80 non è soltanto le sei facce del cubo di Rubik colorate uniformemente o qualche C90 con la copertina customizzata da Tratto Pen stipata di tracce accostate con una precisa finalità di abbordaggio. I boomer che occupano le stanze dei bottoni del mondo fiaccato dal Covid-19 e i cinquanta-sessantenni che non contano nulla come me e voi sono accomunati da un anticorpo emotivo latente nel proprio sistema immunitario programmato con un subdolo principio di attivazione: la riproduzione di un codice generato dalla sequenza di note del brano “Hymn” di Vangelis.

Ogni tanto penso a ciò che differenzia un musicista ordinario da un compositore di musiche da film, o comunque pensate a corollario di immagini in movimento, in grado di condizionare per sempre l’immaginario collettivo. Evangelos Odysseas Papathanassiou, vulgo Vangelis, da questo punto di vista, è detentore di due esclusive: uomini che corrono al rallentatore sul bagnasciuga

e italiani che avvisano la mamma di buttare la pasta perché stanno tornando a casa

Qualche giorno fa avevamo parlato proprio del modo in cui i brand vogliono farsi sentire vicini ai loro consumatori, puntando sul senso di responsabilità a cui ognuno di noi è richiamato e cercando di convincere gli spettatori che possono continuare a scegliere prodotti pensati come outdoor anche per trascorrere un’alienante vita in stand-by come questa, stravaccati sul divano 24×7.

La pasta Barilla è andata oltre. Riproponendo il suo celebre inno aziendale ci vuol convincere che la nostra giovinezza dorata durante la quale la principale complessità era dovuta a una presa di campo tra Simon Le Bon versus Tony Hadley non è vero che è trascorsa inutilmente. Non è vero che siamo cresciuti privi di modelli di ostacoli da superare e che ora, al cospetto di una crisi globale di una gravità inaudita come una pandemia fuori controllo, non siamo dotati di adeguati strumenti per proteggere i nostri cari e i nostri beni.

La casa, che poi è l’ambiente che è stato inventato per stare intorno al televisore, è il baluardo ultimo del genere umano, è il bunker contro i pericoli visibili e invisibili, è il mausoleo che ci conserverà all’infinito, è la capsula spaziale che parlerà di noi agli alieni quando invaderanno la Terra per trovare un pianeta abitato solo dalle bestie che, scomparso l’uomo, avranno scalato la vetta della catena alimentare e sommerso da una vegetazione che si sarà riappropriata di ogni interstizio disponibile tra i ruderi di una civiltà così arcaica da essersi fatta prendere per il naso da un microbico agente infettivo.

Dove c’è Barilla c’è casa, ci insegna Vangelis. Il cibo è consolatorio e questa domesticità estrema ci riunisce sempre di più a tavola a chiederci come sono andate le rispettive giornate. Il papà in videconferenza nella stanza matrimoniale, la mamma perennemente in call in salotto, i figli a seguire i prof sul computer nelle loro camerette. Le esperienze sono ridotte all’osso e hanno tutte il retrogusto del silicio.

Per questo, oggi, la bambina sotto la pioggia che trova un gattino e lo riporta a casa – forse la più celebre variante dello spot originale – ci frantuma il cuore come non mai e ci fa sentire vecchi ormai al capolinea, di quelli che sanno raccontare storie imparate nelle pause di cui film e programmi sono inframezzati con una cadenza di cui ormai non ci rendiamo nemmeno più conto.

“Hymn” di Vangelis è diventato un simbolo universale della nostra civiltà, come l’uomo vitruviano o le barrette che ci indicano la potenza della connettività wireless. Anche se l’adattamento da lockdown dello spot Barilla non ci dice nulla che non sappiamo già, la sua musica ci spalanca un varco emotivo con quegli anni 80 che, ai tempi, se ci avessero predetto che un giorno ci saremmo trovati barricati in casa come eremiti coperti da una mascherina per sopravvivere, non ci avremmo creduto nemmeno per un istante tanto la strada, vista da allora, ci sembrava tutta una perpetua discesa verso il meglio.

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