cosa resterà di questo covid 19

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In questi mesi di didattica a distanza abbiamo assistito e, probabilmente, partecipato in prima persona a numerosi dibattiti sulla scuola. Costretti a farne senza o per lo meno a viverla in un modo senza precedenti, orfani di quello che è un paradigma strutturale della nostra organizzazione sociale, ci è stata data l’opportunità di sperimentare quanto ci risulti insopportabile la sua mancanza. Per la prima volta abbiamo osservato l’ecosistema scolastico da una posizione opposta rispetto al solito e, per certi versi, privilegiata. Non potendovi entrare, per ovvi motivi di sicurezza, l’abbiamo studiato dal di fuori, da sopra, da sotto e da tutte le angolazioni possibili.

Ci siamo chiesti intanto se ci sia effettivamente bisogno di un’edilizia scolastica e se non risulti più consona un’architettura per grandi spazi e destination center adattata alle esigenze dell’istruzione. Luoghi in cui coltivare le relazioni tra studenti e studenti e docenti e relative attitudini anziché cattedrali adibite a cerimonie di investitura di saperi, palestre per il training preparatorio alla competizione sociale, teatri di ostentazione di disturbi della personalità, ammortizzatori sociali (sacrosanti) per professionalità a cui nessuna azienda conferirebbe alcun tipo di responsabilità, arene in cui esercitare poteri, indirizzare destini, marchiare a fuoco tramite giudizi soggettivi.

Abbiamo riflettuto sull’efficacia di un bombardamento a tappeto di cose da imparare senza nemmeno una tabella di marcia comprensiva di una fase in cui metterle in pratica per acquisirle davvero, prima di passare all’argomento successivo. I tempi dilatati hanno infatti imposto differenti priorità e chi ha applicato la propria routine metodologica agli strumenti della didattica a distanza ha dovuto riconoscerne i limiti (e chi non se n’è accorto probabilmente dovrebbe cambiare mestiere).

I genitori, spiando di nascosto o partecipando a fianco dei figli alle lezioni in videoconferenza, hanno avuto molte risposte sul mondo parallelo in cui i ragazzi trascorrono la maggior parte del loro tempo. Gli insegnanti, spiando i genitori mentre spiavano o partecipavano al fianco degli studenti, pure. Da genitori ci siamo chiesti se c’è bisogno che i nostri figli si sveglino alle sei e mezza per andare all’altro capo della città ogni mattina perché la vita – come facevano al tempo degli alberi degli zoccoli – inizia quando fa ancora buio e se davvero un tutorial su Youtube possa essere altrettanto efficace di un buon insegnante. Da insegnanti, ci siamo chiesti se c’è bisogno che i vostri figli debbano essere educati ad associare la formazione al sacrificio. Nel 2020 la vita è ancora un’esperienza di privazioni? Il mondo retto dall’economia impone che la vita sia solo sofferenza? E poi quando arriva il primo virus che ci impone di non mettere il naso fuori di casa, di non andare al ristorante, di non fare shopping, di non spendere il becco di un quattrino, come la mettiamo?

Ve lo concedo: è tutto vero, è tutto falso, è tutto il contrario di tutto. Continueremo a insegnare la letteratura in una lingua morta di duemila anni fa a ragazzi che avranno il tempo di leggere Paul Auster solo da vecchi. Gli studenti continueranno a riunirsi alle otto del mattino in un ambiente che, finita la scuola, non abiteranno mai più a meno che, a loro volta, non faranno i prof, da grandi, e troveranno gli stessi banchi con le scritte d’amore sotto e le LIM di prima generazione, quelle che se hai un notebook con l’uscita HDMI le puoi usare solo per appiccicarci i post-it di carta o come bersaglio per le freccette. Continueremo infatti a confondere la didattica con la tecnologia, anziché far confluire l’una nell’altra. Ci saranno le solite tre/quattro verifiche e interrogazioni alla settimana perché i ragazzi devono abituarsi a studiare sempre comunque tutti i giorni tutte le materie, e quell’idea di dedicare qualche giorno a fine di ogni mese in cui concentrare tutti i test resterà solo una puntata di uno di quei telefilm sui ragazzi americani.

Di questa esperienza così tragica, della bellezza dell’imparare senza stress, del fatto che la vita è uno stress solo quando arriva una pandemia che ti sottrae la gioia della vita in sé, dell’avere il tempo di cercare, riflettere, parlarne, discutere, divertirsi a imparare, resterà poco. Quasi nulla. Qualche videolezione inefficace registrata per errore e salvata nel cloud perché, ancora una volta, qualcuno ha confuso la didattica con la tecnologia.

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